La leader di Fratelli d’Italia dismette i panni per lei strettissimi da presidente del Consiglio e pretende il sì al suo personalissimo referendum

(di Carmelo Lopapa – repubblica.it) – Con me o contro di me. Giorgia Meloni chiama alla mobilitazione, polarizza e personalizza lo scontro, invoca il plebiscito. Altro che elezioni europee, la leader di Fratelli d’Italia dismette i panni per lei strettissimi da presidente del Consiglio e pretende il sì al suo personalissimo referendum. Non sul suo governo, ma su di lei, sulla sua leadership, sulla sua politica.
È la ragione per la quale occuperà ogni spazio mediatico a disposizione, tv pubblica e canali privati, siti e radio negli ultimi cinque giorni prima del traguardo. “Vota Giorgia”, campeggia negli spot, sullo sfondo del palco del comizio, siamo oltre la berlusconizzazione della politica. Neanche il fondatore di Forza Italia ai tempi d’oro aveva osato tanto chiedendo di votare “Silvio”.
Il discorso fiume con cui Meloni ha chiuso la campagna elettorale a Roma conferma tutta la sua spregiudicatezza politica. I toni antieuropeisti — benché condizionati dalla sfida delle urne — non sono degni di una leader europea, ancor meno del presidente di turno del G7.
Proseguendo su questa strada impervia che porta in fondo a destra, non tanto Meloni, ma l’intero Paese rischia di finire ai margini dell’Europa che deciderà ancora una volta i nostri destini nei prossimi cinque anni. Proclamare che il suo partito non sosterrà mai una coalizione che includa la sinistra e quindi i socialisti, vuol dire rassegnarsi al recinto dei brutti e cattivi con Le Pen, Orbán, Salvini e Vannacci. Non esattamente il destino thatcheriano sognato da “Giorgia”.
Del resto, parliamo di un capo di governo che ha dato il “la” al suo comizio nella Capitale con l’audio con cui si è presentata da «stronza» al governatore campano De Luca, nel tripudio della (scarsa) folla che gremiva Piazza del Popolo. A conferma — semmai ce ne fosse bisogno — di quale fosse il reale obiettivo di quell’agguato mediatico orchestrato a Caivano.
E ancora. La presidente del Consiglio, nella solenne commemorazione di Matteotti nell’Aula della Camera, ha compiuto un altro piccolo passo avanti sulla via d’uscita dalle ombre del post fasciamo. Ha riconosciuto la matrice dell’omicidio riconducendola allo «squadrismo fascista». A cento anni dai colpi di pistola con cui il parlamentare socialista venne trucidato, ma le va riconosciuto. Ebbene, sono bastate 48 ore e la stessa Meloni è sprofondata nel pozzo nero della rivendicazione della Fiamma simbolo della «continuità» con la tradizione più arcaica. È il richiamo della foresta al quale, purtroppo e come sempre, Giorgia non riesce mai a sottrarsi del tutto.
Meloni forse raggiungerà il suo obiettivo. Parlerà ancora una volta al suo popolo come piace a lei. Alla pancia del Paese. Potrebbe anche confermare il 26 per cento delle Politiche. Potrebbe perfino avvicinarsi alla soglia monstre del 30 se dovesse sbaragliare i partiti alleati ancor più degli avversari. Ma quali macerie lascerà intorno a sé e al suo governo dopo il 9 giugno? La politica delle spallate non porta mai lontano.
Elly Schlein fa quel che può un leader d’opposizione, sta conducendo una campagna elettorale seria, battuta su temi concreti di interesse generale e popolare, dalla sanità per tutti al salario minimo. La polarizzazione potrebbe avvantaggiare anche lei e il Pd oltre le previsioni più ottimistiche.
Ma c’è un fantasma che incombe su tutto. A pochi giorni ormai dal voto si registrano una disaffezione e un disinteresse (soprattutto da parte dei giovani) che alimentano il peggiore degli incubi: il superamento della soglia catastrofica del 50 per cento. Se più della metà degli italiani, per la prima volta, non dovessero presentarsi ai seggi, allora il risultato delle Europee — qualunque fosse il responso — risulterebbe drogato, comunque falsato e dunque irrilevante.
Il sì o il no al referendum sarebbe inutile. Non vincerebbero Meloni o Schlein, Conte o Salvini, conterebbe poco il risultato della sinistra, di Renzi o Calenda. Perderebbero tutti. Perderebbe il Paese, relegato ancor più di quanto già non avvenga all’angolo della irrilevanza continentale.
Serve un colpo di reni, un rigurgito di dignità, responsabilità e perfino di stile nel rush finale. Giorgia Meloni ne sarà capace?
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non è questo il referendum che interessa a noi cittadini ma quello a forma di tir che passera’ sulla madre di tutte le schiforme.
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Usare il “noi” sarebbe esagerato (anche se gli psicologi parlano di invidia del pene), ma IL presidente del consiglio sembra rivolgere a chi la acclama nella piazza un semprevivo “Voi ce l’avete duro!!!” di bossiana memoria. Ah… quanto vorrebbe pronunciare quel mitico “NOI”!…
Per ora si accontenta dell’allusivo NOI TIREREMO DRITTO!!!
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Più che un rigurgito di dignità è più naturale che scaturisca un roboante rutto.
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Il richiamo della Foresta…Nera.
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