
(Andrea Zhok) – La condanna del candidato repubblicano alla presidenza Donald Trump a 4 anni di reclusione (salvo condizionale) rappresenta uno di quei momenti in cui il fallimento di un sistema sociopolitico prende forma plastica.
Gli USA sono quel paese in cui da decenni la competizione per le più alte cariche dello stato è una guerra interna all’oligarchia finanziaria. Nessuno che non abbia un sostegno miliardario ha alcuna chance di “rappresentare politicamente il popolo americano”.
Questo fatto rende il ceto politico una marionetta nelle mani di un ristretto numero di pupari nascosti dietro le quinte.
Questo sistema è tecnicamente un’oligarchia plutocratica e il fatto di presentarsi come democrazia (anzi, come modello esemplare di nazione democratica) è solo l’inizio della cascata di bugie in cui l’Occidente si sta annegando.
I due candidati a questa tornata delle elezioni presidenziali rappresentano in modo icastico queste caratteristiche del sistema.
Da un lato Joe Biden, che anche quando era giovane particolarmente brillante non era, ma che ora è un anziano affetto da demenza, inadeguato a governare una bocciofila. Ma siccome il presidente è solo una bandierina, un volto, un attore ventriloquo, avere un candidato demente non rappresenta un argomento decisivo (e pensosamente i media americani “si interrogano” sulla sua “fitness”, come se ci fosse qualcosa di serio su cui interrogarsi.)
Dall’altro lato abbiamo Donald Trump, che è un candidato atipico perché capace di affrontare una campagna elettorale almeno in parte con mezzi propri. Questo lo rende meno immediatamente ricattabile. Così, in un meraviglioso cortocircuito, un miliardario newyorchese autoreferenziale e spregiudicato può presentarsi come rappresentante dei veri negletti, dei lavoratori impoveriti della Rust Belt e di altre zone deindustrializzate; questo solo perché appare meno evidentemente un pupazzo nelle mani dei pupari che agiscono nell’ombra.
Dal punto di vista delle “idee politiche” di fondo Biden e Trump sono due varianti del neoliberalismo, le cui differenze sono marginali. La principale differenza è rappresentata dalla maggiore propensione isolazionista di Trump, rispetto alla maggiore propensione imperialista dei Dem. Ma sono dettagli, aggiustabili all’occorrenza (dopo tutto fu Trump a ordinare l’assassinio del generale Soleimani).
La principale differenza tra i due personaggi è la minore ricattabilità di Trump, che lo rende meno affidabile per la plutocrazia che governa gli USA. Questa è la ragione, l’unica ragione, per cui Trump è stato fatto oggetto di ripetuti attacchi per via giudiziaria. A chi pensasse che in America una condanna, alla vigilia delle presidenziali, ad un candidato in vantaggio, sia “la giustizia che fa il suo corso” bisogna togliere di mano il Corriere dei Piccoli e spiegargli che non è una fonte geopolitica autorevole.
In un sistema neoliberale il potere è semplicemente una battaglia tra poteri finanziari opachi con l’intermediazione dei loro burattini. Vale per la politica, vale per la magistratura.
Lo sa quella metà della popolazione che non va più a votare – non essendo rappresentata – , e lo sa anche quella che continua a farlo – sentendosi marginalmente rappresentata o, più spesso, sperando di esserlo in futuro. (Non lo sanno i lettori di Corriere e Repubblica, ma quelli credono anche che il mondo sia trainato da unicorni arcobaleno.)
Il sistema socioeconomico americano è un gigante militare e finanziario con le vene marce, un colossale cyborg con il cuore meccanico e il cervello in delirio. Lo è perché esprime in maniera piena, compiuta ed esemplare un modello in cui la sovranità appartiene alla proprietà, in cui ogni dollaro è un voto.
Questo è anche il sistema che ci viene insegnato ininterrottamente da trent’anni essere il glorioso modello cui tutti noi europei dovremmo aspirare. Verso questo modello ogni istituzione pubblica, dagli ospedali alle università, viene sospinta costantemente mettendo all’asta anime e competenze (chi porta denaro ha sempre ragione).
Siamo legati mani e piedi a questo gigante in decomposizione che ci porterà a fondo con sé.
E chiamiamo questo suicidio collettivo “realizzare i valori occidentali”.
più chiaro di così
come non essere spaventatissimi?
però noi (italia) discutiamo chi dei due IMPROPONIBILI sia più stronzo!
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non sara’ una fenice…
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ottima analisi…
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È sufficiente leggere OBABUSH di Giulietto Chiesa dove il grande giornalista spiega che Obama per ottenere la presidenza ha dovuto sottomettersi ai poteri marci.
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Quindi, siccome non possiamo cambiare il mondo, allora è giusto non votare (“lo sanno bene quelli che non votano”).
Infatti la Raggi ha preso meno voti (astensione alta) di Calenda perchè non è riuscita a cambiare il mondo. Neanche la guerra in Siria è riuscita a fermare. Han fatto proprio bene quelli che non sono andati a votare alle comunali. Hanno capito tutto! E soprattutto sono bene informati. Come no.
Siccome il mondo è un posto sporco e non possiamo cambiarlo, allora per alcuni è giusto far diventare anche l’interno di casa nostra un porcile.
Tutto ciò che non riguarda la guerra e la geopolitica è diventata robetta insignificante per quasi tutta la controinformazione. Cose come la giustizia/leggi, le privatizzazioni, il welfare, i condoni etc. etc. non contano più niente. C’è solo la guerra e niente più.
Quando la guerra finirà, ci ritroveremo a vivere in un porcile grazie a “quelli che hanno capito” iscritti al partito “son tutti uguali”.
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Il pessimismo di Zhok mi sembra più un invito alla riflessione, che un invito a non votare.
Parla di elettori “che non si sentono rappresentati ma anche di coloro che continuano a votare… Sperando di esserlo (rappresentati) in futuro.
Dice che ci inabisseremo col gigante d’oltreoceano in decomposizione, ma se ce lo dice prima che questo evento si realizzi, sta a significare che, in realtà, desidera che si trovi la forza per slegarci il più rapidamente possibile da esso.
Come?
La mia personale risposta è quella di recarci in massa a votare, in Europa, contro gli interessi dei plutocrati guerrafondai che ci vogliono portare alla guerra nel silenzio/assenso omertoso dei loro subdoli supporter.
Zhok vedrà lui che vuol fare. Anche perché nell’articolo non lo dice. E allora accontentiamoci degli spunti che ci fornisce, al resto pensiamoci da soli.
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Lo chiama pessimismo, lui: l’ottimismo ce lo mette Morfeo, a un passo dagli unicorni arcobaleno…
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Sembra di vederlo, il Gatto, sbellicarsi dalle risa alle letture di Zhok🤣
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Pensare che un miliardario speculatore figlio di un miliardario speculatore, pregiudicato, il cui capo della campagna elettorale già nel 2016 (Paul Manafort) finì in galera per collusione con la Russia, che ha fatto il più grande taglio di tasse ai miliardari dai tempi di Reagan, a capo di un culto letteralmente fascista (si legga il Project 2025), il primo presidente USA a distruggere posti di lavoro fa dal 1929, sia il “presidente del popolo contro l’establishment” è qualcosa che segnala un totale scollamento dalla realtà oggettiva.
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quella si che è domacrazia, hanno così tanta democrazia che hanno bisogno di esportarla, e Guai a chi non è d’accordo nel volerla
vogliamo mettere quando i candidati sono miliardari,
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Ottima analisi di Zhok come al solito. Quel che poi la Basile chiama nei suoi video, molto più prosaicamente “blob”…
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“Non lo sanno i lettori di Corriere e Repubblica, ma quelli credono anche che il mondo sia trainato da unicorni arcobaleno.”
Beh, non so se sia peggio credere agli unicorni arcobaleno e credere di essere marginalmente rappresentati o, più spesso, sperando di esserlo in futuro.
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e.c.: … O credere di essere
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rappresentati da chi?
a questo punto possiamo tranquillamente affermare che uno vale l’altro, tutti servi dello stesso padrone.
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6 anni fa il Commissario UE Ottinger è stato chiaro:”I mercati insegneranno agli italiani a votare giusto”. Che è un modo elegante di dire:”Votate chi c… volete, tanto decidiamo noi”.
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