Da Liliana Segre a Renzo Piano, da Elena Cattaneo a Claudio Abbado: sono persone che hanno parlato al Paese

Milano - Teatro alla Scala: presentazione della stagione scaligera 2024-2025.
nella foto: Liliana Segre. (Milano - 2024-05-28, Pietro Re) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

(di Gustavo Zagrebelsky – repubblica.it) – Non è un dettaglio. È il sintomo di qualcosa di vasto, di insinuante, di pervasivo che chi sa quali ulteriori sviluppi in tanti campi della vita politica e sociale potrà avere: l’abolizione dei 5 senatori a vita. Per limitarci a qualche nome degli ultimi anni: Liliana Segre, Renzo Piano, Elena Cattaneo, Claudio Abbado, Rita Levi Montalcini, Norberto Bobbio, Carlo Bo, persone nominate nel corso del tempo dal presidente della Repubblica “per avere illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”, secondo l’espressione dell’attuale art. 59 della Costituzione che or ora si è votato per eliminare.

La volontà di questo governo di procedere senza incertezze e sbavature è chiara, fin nei dettagli. L’ispirazione è la mediocrità, la “medio(cri)crazia”

Nessun nuovo senatore a vita, dunque, e quelli esistenti, collocati in una “categoria a esaurimento”, umiliati e offesi. Esaurimento a uno a uno, fino a che morte non sopraggiunga o essi stessi non decidano di andarsene per difendere la propria dignità. La Patria non ha bisogno di loro e dei loro meriti e, se la vogliono “illustrare”, la Patria, sono liberi di farlo a casa loro. La loro voce, dice il Riformatore, non ci interessa. Anzi, ci infastidisce. Noi siamo il popolo e voi, con l’insolenza della vostra cultura, non siete il popolo in cui ci rispecchiamo. Dove va a finire l’eguaglianza se si tollerano questi signori che non sono stati eletti e si credono tuttavia in diritto di dire la loro? Anche noi, anzi solo noi. dice ancora il Riformatore, siamo popolo e ci sentiamo “patrioti”. Costoro si credono più uguali di noi, perché “hanno studiato”? Sono solo espressione di una fastidiosa mentalità aristocratica.

Questo, il retro pensiero di chi la pensa così: viva l’eguaglianza che non inquieta la nostra ignoranza, la nostra mediocrità, la nostra appartenenza al popolo dei somari. Questo sottinteso è purissimo populismo che fa capolino da un punto della riforma che solo a prima vista può sembrare di dettaglio.

Si dice: i senatori a vita, per quanto pochi, possono alterare i rapporti tra la maggioranza e le minoranze degli eletti, senza possedere la necessaria legittimazione democratica, e l’alterazione può essere più rilevante che in passato, perché oggi il numero dei senatori è stato ridotto, con la riforma del 2020, da 315 a 200. 5 su 200 è molto più di 5 su 315. Ma, qualcuno potrebbe rispondere: se si volesse rispettare la proporzione originaria, li si riduca a 3. No, non basta, perché ciò che importa è eliminare la categoria, come tale. È la categoria in sé che dà fastidio nella repubblica dei mediocri.

Si dice ancora: la loro presenza in Parlamento si legittima per ragioni diverse dalla politica che scaturisce dagli esiti delle elezioni e si articola nella dinamica parlamentare. Ma si potrebbe rispondere: escludiamoli allora dalle votazioni eminentemente politiche (come quelle sulla fiducia al governo), ma non priviamoci della possibilità di udire la loro voce che risuona in Parlamento e da lì si diffonde oltre le mura del “palazzo” quando sono in gioco valori e interessi della Patria che superano le divisioni tra i partiti. I senatori a vita, quando parlano, non parlano solo ai loro colleghi, ma a tutta la Nazione. Toglierli di mezzo non è solo una cattiva azione nei loro confronti e nei confronti del Senato, ma lo è anche nei confronti di tutti noi.