(di Michele Serra – repubblica.it) – Che c’entra la sicurezza con l’agricoltura? Voi direte: se stiamo parlando di sicurezza sul lavoro, c’entra molto. Ma no, non stiamo parlando di sicurezza sul lavoro. Stiamo parlando del disegno di legge sulla sicurezza, presentato dal governo, nel quale si vietano la coltivazione e il commercio della cannabis leggera: quella a basso contenuto del principio attivo Thc.

Chi ha tempo e pazienza può provare a ricostruire l’allucinante e annoso tira e molla legislativo che ha prima concesso, poi vietato, poi riconcesso, poi rivietato la coltivazione di questa magnifica famiglia di piante, la cui secolare alleanza con gli uomini ha qualcosa a che fare con le sostanze psicotrope e la farmacopea, molto con i tessuti e la navigazione (quasi tutto il cordame di terra e di mare, prima della plastica, era di canapa).

Centinaia di piccole aziende ci hanno creduto, hanno preparato il campo e poi seminato cannabis light. Contadini. Popolo, come vanno blaterando quelli al potere. Gente che lavora con la natura e ha i tempi della natura: cicli di anni. Non si può estirpare e ripiantare un campo ogni sei mesi, a seconda dei tiramenti dei capoccia. Non si può veder crescere una pianta dicendola legale, illegale, legale, illegale ad ogni nuova scartoffia prodotta da gente che vede il mondo da un ufficio.

Il ministro Lollobrigida, così trepidante per le sorti della produzione agricola italiana, lo sa che centinaia di piccole aziende, fidandosi dei pronunciamenti di “quelli di Roma”, hanno puntato sulla cannabis, e ora si ritrovano fuorilegge? Non ha niente da dire su questo schifo, su questa paranoia securitaria che pretende di espiantare il male e invece espianta lavoro, foglie, radici, fusti, tempo, investimenti, speranze, sbagliando orribilmente bersaglio?

La canapa si coltiva, in Italia, da secoli. Che diavolo devono coltivare, gli agricoltori che hanno puntato sulla cannabis, per mettersi in regola: edamame giapponesi?