LA LINEA – “Io ho sempre e solo perseguito l’interesse pubblico”

(DI M. GRA. – ilfattoquotidiano.it) – Più che alla difesa di un indagato, assomiglia a un manifesto politico, basato su un “pensiero liberale”, che “vede nell’attività privata non già un fattore egoistico da contrastare, ma una risorsa”. Più che una strategia giudiziaria, sembra un contropiede comunicativo, destinato a prendersi la scena mediatica altrimenti riservata all’accusa, in una giornata del genere.

Ieri sera, a interrogatorio quasi concluso, dallo staff di Giovanni Toti trapela la memoria difensiva che il governatore ligure, a margine della sua audizione, ha depositato alla Procura di Genova. Il testo viene anticipato e pubblicato integralmente, a incontro con i magistrati ancora in corso, dall’emittente locale TeleNord. È la risposta più diretta a chi aveva ancora dubbi: Giovanni Toti non ha nessuna intenzione di dimettersi.

Nel documento, Toti rivendica sostanzialmente da un punto politico le azioni che gli vengono contestate su un piano penale: “Nel mio percorso politico ho sempre perseguito l’interesse pubblico il quale è il fine unico e ultimo della mia azione politica; tale fine è seguito, come costantemente rivendicato dal programma politico della maggioranza che mi sostiene, non già mediante la contrapposizione con le rivendicazioni dei privati, quanto piuttosto attraverso la veicolazione di queste verso l’interesse della collettività e del territorio, modalità con la quale si realizza la migliore essenza dell’interesse pubblico. Il pensiero liberale, che rappresenta il faro della nostra azione politica, vede, infatti, nell’attività privata non già un fattore egoistico da contrastare ma una risorsa che, lasciata crescere nel rispetto delle regole, rappresenta un valore aggiunto per la collettività quale primario elemento di sviluppo sociale ed economico”.

Toti approfitta dell’occasione per rimarcare “errori”, “carenze” e “interpretazioni maliziose” dei giudici”. Ma non sembrano i magistrati i veri obiettivi del messaggio. A leggere tra le righe, si possono trovare tanti riferimenti che hanno le sembianze di avvertimenti. Nella sua autodifesa Toti richiama la “maggioranza che mi sostiene” (almeno fino a questo momento), allude a possibili compromissioni dell’opposizione (nel testo vengono citati gli incontri di Claudio Burlando con Aldo Spinelli, e quelli della Regione Liguria co il gruppo dell’ex parlamentare Pd Matteo Colaninno e con un’azienda rappresentata da Ariel Dello Strologo, candidato sindaco di Genova del centrosinistra). Ancora, Toti contesta la credibilità di alcuni personaggi che nell’inchiesta si oppongono ai progetti di quella che per i pm era la consorteria d’affari che teneva insieme Toti, Aldo Spinelli e il presidente dell’Autorità Portuale Paolo Emilio Signorini: l’ex giornalista Giorgio Carozzi, che si opponeva al rinnovo trentennale del Terminal Rinfuse dato a Spinelli, viene definito “ondivago” e “contraddittorio”, uno che parla (di tangenti) più che altro “per sentito dire”; Rino Canavese, membro del Comitato portuale che vota contro la proroga, viene bollato come un “uomo dei Gavio”, dunque a libro paga della concorrenza di Spinelli. Ci sono inoltre alcuni passaggi che non riservano sconti per altri gruppi privati, come gli armatori Grimaldi (ritenuti più vicini alla Lega che a Toti) o Giulio Schenone, rappresentante del colosso Psa e definito “contiguo” a Burlando. C’è infine una precisazione al veleno su come il governatore sarebbe entrato in contatto con i fratelli Testa, che secondo i magistrati sarebbero i procacciatori dei voti della comunità riesina, inquinati dalle infiltrazioni clan Cammarata: “Me li presentarono due onorevoli, (Alessandro) Sorte e (Stefano) Benigni, che ne garantivano le qualità personali”. Per inciso, due onorevoli di Forza Italia.

La lunga memoria a favore di media, è dunque soprattutto un avvertimento a coloro, soprattutto se alleati, che pensavano che l’interrogatorio sarebbe bastato a far calare il sipario sul destino politico di Toti. È come se il governatore, rievocando di essere stato prima un giornalista che un politico, avesse trovato un modo per comunicare all’esterno tutto ciò che non era ancora riuscito a dire. Nella speranza che questo basti, almeno per il momento, a trasformare la sua vicenda giudiziaria in un caso politico, e a rinviare la resa dei conti che in un consiglio regionale paralizzato.