In una relazione dell’antiriciclaggio datata 2018 i finanziari segnalavano alla procura di Genova i grandi donatori dei comitati di Toti e indicavano anche dei trasferimenti di denaro dai conti delle strutture politiche ai conti personali. Mentre l’autorità antiriciclaggio di Banca d’Italia segnalava «spese personali» e «trasferimenti a favore di altre persone politicamente esposte»

(ENRICA RIERA – editorialedomani.it) – Se i finanziamenti ricevuti dal Comitato Giovanni Toti, secondo i magistrati, potrebbero celare una forma di corruzione, c’è un capitolo della storia che attiene solo alla sfera dell’opportunità. Si tratta delle spese private fatte dal presidente della regione Liguria con soldi del Comitato, cioè dei suo donatori.

Una storia che segna un po’ l’inizio dell’inchiesta sul “Sistema”. E che si snoda tra ristoranti di mete turistiche extra-lusso, come Forte dei Marmi e Saint Tropez, hotel del centro di Roma e boutique d’alta moda. Giovanni Toti, oggi agli arresti domiciliari per corruzione, era solito strisciare la sua carta oro da Prada, ma anche in alberghi d’eccezione. Segna l’inizio, dicevamo, perché è tutto scritto in una relazione dell’antiriciclaggio datata 2018, nella quale per la prima volta i detective finanziari segnalavano alla procura di Genova i grandi donatori dei comitati di Toti e indicavano anche dei trasferimenti di denaro dai conti delle strutture politiche ai conti personali del governatore.

Basti pensare che dal 2016 al 2018 oltre cento sono state le operazioni di addebito, per un totale di quasi 30mila euro, alla voce hotel Valadier, tra i più iconici alberghi di Roma. E poi pagamenti per l’affitto di case a uso personale e bonifici ai propri familiari. Nulla di anomalo, certo, se non fosse che il denaro utilizzato dal presidente della Liguria per le sue spese personali era quello del tesoretto del comitato Change, la fondazione nata nel 2016 da un’idea dell’ex giornalista di Mediaset con «finalità divulgative», negli ambiti di «cultura, ambiente, politiche sociali, salute e sicurezza». Queste operazioni, finite allora sotto la lente dell’antiriciclaggio, sarebbero state effettuate a titolo personale in base ai versamenti del comitato, finanziato da privati.

Nelle carte dell’inchiesta giudiziaria – in tutto gli indagati sono 25, 10 i destinatari di misure cautelari – si parla infatti di soldi trasferiti dal nuovo comitato, nato dopo Change e in sua sostituzione, sui conti personali e privati di Giovanni Toti. Un modus operandi che, dunque, andava avanti da tempo.

L’Espresso nel 2018, oltre a rivelare i nomi dei finanziatori di Change, aveva anche svelato che 173mila euro incassati da Change erano finiti su più depositi personali del presidente e che quelli arrivati sul conto corrente aperto presso banca Generali erano stati usati non a caso per spese personali. Come si diceva, ristoranti, mutuo, abbigliamento e via discorrendo.

«Dagli approfondimenti svolti risulta che i fondi trasferiti dal comitato Change a Giovanni Toti vengono utilizzati per spese di natura personale (…). Inoltre, sono emersi trasferimenti a favore di altre persone politicamente esposte. In questi casi (…) sembrerebbero utilizzati per finalità elettorali», si legge in una segnalazione di sei anni fa dell’autorità antiriciclaggio di Banca d’Italia. Tra questi c’era già allora Marco Bucci, al tempo impegnato nella prima campagna elettorale, che aveva ricevuto 102mila euro dal Comitato Change.

Per quanto riguarda i resoconti finanziari sulle spese personali, nessun rilievo penale: si tratta del denaro di privati che arriva a un comitato fatto da privati, i quali possono scegliere come usare quelle determinate risorse. Finalità divulgative? Finalità culturali, così come sbandierato da Toti in riferimento agli obiettivi di Change? In realtà, oltre alla «cultura» o alle «politiche sociali» c’è anche un pizzico di Prada.

Ed quando l’antiriciclaggio cerca di far luce sui versamenti di Change e Toti che matura l’indagine di Genova sull’intreccio tra finanziamenti elettorali e concessioni portuali. Una storia fatta di soldi, interessi elettorali e imprenditoriali, di porti e spiagge (non solo di Forte dei Marmi o Saint Tropez), ma anche di vezzi, soggiorni in località esclusive, abiti griffati, ristoranti stellati. Quelli pagati, da molto tempo addietro, anche coi soldi dei benefattori che hanno creduto nel progetto politico di Toti.