INTELLIGENCE – Il giornale finanziario cita fonti nei servizi segretiamericani. Non ci credono i governi europei e il team del dissidente

(DI MICHELA A.G. IACCARINO – ilfattoquotidiano.it) – Vladimir Putin non sarebbe il mandante dell’omicidio di Aleksey Navalny. Non sarebbe partito dal presidente russo, infatti, l’ordine di mettere fine alla vita del dissidente. “Putin potrebbe non aver pianificato che accadesse quando è accaduto”: lo scrive il quotidiano americano che per primo ieri ha diffuso la notizia, il Wall Street Journal, dopo aver raccolto informazioni da fonti “familiari con la vicenda”, ovvero 007 americani. È un’informazione che reputano veritiera diverse agenzie di sicurezza a Washington, inclusa la Cia e l’unità d’intelligence del dipartimento di Stato, ma è “una scoperta che rende ancora più profondo il mistero delle circostanze della morte” dell’avversario del presidente. È una morte che ha gettato un’ombra ancora più lunga e scura sul Cremlino, proprio mentre la Russia si accingeva ad andare a votare alle elezioni presidenziali che hanno assicurato un altro mandato a Putin.

Molti nell’apprendere l’informazione, però, hanno scosso la testa: non ci credono del tutto diverse cancellerie europee; più scettica degli altri la Polonia, secondo cui nella Federazione russa il Cremlino orchestra tutto e tutto al Cremlino è orchestrato da Putin. La Russia, quella “altra”, quella dei dissidenti in esilio, è delusa: rigetta questa tesi soprattutto la squadra Navalny e il suo Fondo anti-corruzione, come l’uomo che dall’estero lo guida, Leonid Volkov. Ha respinto la teoria come frutto di “ingenuità”: chi ci crede “chiaramente non capisce niente di come funziona la Russia moderna. L’idea che Putin non fosse informato o non abbia approvato l’uccisione di Navalny è ridicola”. Secondo il team del dissidente, il leader dell’opposizione è stato eliminato perché si approssimava uno scambio prigionieri negoziato dai russi con Berlino e Washington.
Una settimana prima che Navalny, dopo una passeggiata, si accasciasse al suolo del “lupo polare”, la colonia penale artica in cui è morto il 16 febbraio scorso, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente Biden stavano per cedere a Mosca Vadim Krasikov, agente russo accusato dell’omicidio di dissidenti ceceni. Coinvolti nello scambio anche il giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich, arrestato per spionaggio come l’ex marine Paul Whelan, che rimane in galera dal 2018 per scontare una condanna di 16 anni di prigione. Interrogato in pubblico sulla morte di Navalny, Putin riferì che, nel sentire gli interlocutori dall’altro lato della cornetta proporgli lo scambio, aveva deciso di accettare ancor prima che concludessero la frase. L’unica condizione da rispettare era l’addio: Navalny non avrebbe mai più dovuto mettere piede in Russia.
Due giorni fa è stato arrestato il corrispondente di Forbes Sergey Mingazov a Khabarovsk, per “diffusione di fake news sull’esercito russo”, per un post su Bucha. E ieri la stessa sorte è toccata a al giornalista Konstantin Gabov, accusato di “estremismo” per aver collaborato alla creazione di video su YouTube con lo staff del defunto dissidente Alexei Navalny.
“Putin è colpevole” sentenziò Biden appena informato della morte del dissidente: parole che anticipavano un’altra ondata di sanzioni Ue e Usa contro Mosca. Mentre si intreccia la nuova ridda di informazioni, come è morto l’oppositore, ancora nessuno lo sa. E, spiega il giornale, forse non si saprà mai davvero. In ogni caso, tutto questo non solleva il presidente russo dalle responsabilità: il Cremlino ha perseguitato e poi spedito a latitudini remotissime e siderali il suo oppositore più noto, Navalny, nonostante le pessime condizioni di salute, peggiorate dopo vari tentativi di avvelenamento.
Paradossalmente ha minimizzato e ridicolizzato l’articolo del Wall Street Journal pproprio il portavoce di Putin, Dmitry Peskov: si tratta di speculazioni, sciocchezze, “non è un articolo di alta qualità che merita attenzione”, c’era da “dare al pubblico mondiale qualcosa da leggere nel fine settimana”. Ma non smentisce e non conferma: Peskov devia.