
(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Da una parte c’è il dibattito, nobilissimo: è giusto imporre un biglietto di 5 euro per mettere piede a Venezia?
Dall’altra, la realtà: delle centotredicimila persone che ieri sono entrate in città, soltanto quindicimila hanno pagato il benedetto o famigerato «ticket».
E gli altri novantottomila? direte voi. Perché erano stati annunciati controlli spietati: sensori, codici elettronici e telecamere a cui era praticamente impossibile scampare. A meno di essere in possesso del talismano che ogni turista avveduto porta sempre con sé: un tesserino qualsiasi che gli dia il permesso di fare quel che agli altri è vietato.
Fin dai tempi dell’Azzeccagarbugli, in tutte le leggi e i regolamenti italiani c’è una prima riga che declama divieti implacabili. Ma a quella prima riga ne seguono sempre una seconda e una terza che contengono l’elenco delle eccezioni e delle esenzioni.
I cittadini veneziani non pagano il ticket, e ci mancherebbe, ma neanche quelli del resto del Veneto per vicinanza affettiva, e i residenti temporanei, e i turisti che vogliono recarsi in qualche isola minore o che sono stati invitati a Venezia da un amico o da un parente. Oltre naturalmente a tutti coloro che entrano in città dopo le 16 per bersi un bicchierino in laguna davanti al tramonto: il famoso emendamento Spritz.
Le autorità locali si sono dichiarate molto soddisfatte dell’esperimento. In effetti, un pagante su dieci risulta una percentuale più che rispettabile. Il suo nome in codice è: il solito fesso.