(Giuseppe Di Maio) – Gli italiani credono che la politica serva a cambiare la propria condizione sociale. Ce ne sono di quelli che vorrebbero conseguire vantaggi sul proprio competitor di classe, liberando i propri comportamenti da ogni regola e ostacolando quelli altrui. Ce ne sono poi che vorrebbero essere agevolati nel lavoro, nella carriera, nella conquista di diritti, e in contropartita sono disposti a rispettare alcuni precetti. Tutti costoro riempiono l’enorme calderone in cui bolle la patria dimensione privata, incapaci di intendere l’obiettivo del bene comune e ansiosi di truccare la volontà generale. Quanti sono invece quelli che veramente credono nella libertà d’espressione, di voto, nel benessere collettivo, nel lavoro, nel merito (anche se dovesse nuocere loro), nella libera concorrenza, e nella giustizia? Pochi, veramente pochi, e nemmeno per un tempo indeterminato.

Prendiamo ad esempio lo scontro nell’alleanza progressista. I partiti della prima repubblica caddero sotto il peso della corruzione, travolti dal cambiamento sociale che favorì le formazioni reazionarie e non quelle conservatrici. L’esigenza di un rimpasto nelle proposte politiche orfane del Pentapartito e del PCI diedero vita a Forza Italia e dopo qualche lustro di travaglio al PD. L’uno e l’altro partito si divisero il consenso dei conservatori: il primo a cavalcioni con l’area reazionaria, il secondo con quella radicale. Dopo il lungo periodo di finta contrapposizione, che aveva garantito ogni aspetto della dimensione privata, nasce una reazione civile e politica che rifonda le ragioni del bene comune. Consideriamo ora il bisogno di trovare lavoro, di essere assistiti nella carriera, di avere le amministrazioni amiche, di avere commesse e appalti, di accedere a percorsi preferenziali in ogni dove; scuola, lavoro, giustizia, sanità, e diamoci una risposta sul motivo dell’ostilità verso una forza politica nemica di tutto questo.

Il PD è un partito ancipite che predica a un elettorato progressista e blandisce gli interessi dei conservatori, che sbandiera le regole democratiche a livello nazionale e le trucca sui territori, un partito con elettori di sinistra e dirigenti di destra, con un segretario che dichiara guerra al proprio partito e che parla male dei suoi alleati. Che ne sarebbe del PD se non avesse l’apparato mediatico che lo promuove e lo difende? Che ne sarebbe delle sue amministrazioni locali se mettesse fine al voto di scambio, al favoritismo, alle combine con gli imprenditori disonesti? Pensate quanto debba essere considerato pericoloso un partito che minaccia un apparato sociale fondato sulla furberia, sui meriti politici, sulla corruzione. Ma veramente credono che Conte e i suoi aspirino a obiettivi a breve termine come le elezioni europee e la leadership della coalizione? Noi vogliamo tutto: vogliamo gli elettori che il PD tiene in ostaggio da decenni, noi vogliamo la sinistra intera.