
(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Dopo che la rottura in Basilicata tra Pd e Azione ha definitivamente trasformato il campo largo in un campo di calcetto, il leader degli azionisti lucani Marcello Pittella ha mandato a un ristretto circolo di fortunati un vocale di due minuti e ventidue secondi in cui si paragona nientemeno che ai deportati nei lager. Resosi conto di avere un po’ esagerato, il plenipotenziario locale di Calenda ha successivamente chiesto scusa, addebitando la sortita allo stress accumulato negli ultimi tempi. (Sapesse quanto ne abbiamo accumulato noi, alle prese da mesi con la manfrina delle elezioni regionali a rate, mentre un minimo di decenza avrebbe suggerito di accorparle tutte alle Europee del 9 giugno).
Vorremmo poter scrivere che il vocale di Pittella rappresenta un caso isolato. Invece fare la vittima è diventata la condizione indispensabile per fare carriera. Tutti si piangono addosso: politici, magistrati, presentatori, opinionisti, scrittori. Più hanno potere e più si sentono all’opposizione. Più parlano e più si lamentano che non li lasciano parlare. E interpretano qualsiasi evento, anche il più banale, come la prova lampante di un complotto. Il vittimista condivide col megalomane l’idea che il mondo non pensi ad altro che a lui. Ma mentre il megalomane ci crede davvero, il vittimista fa solo finta. Sa che gli italiani amano compatire chiunque li illuda di essere più infelice di loro.