(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Per la prima volta una scuola italiana resterà chiusa nell’ultimo giorno di Ramadan. A chi della notizia legge solamente il titolo sembrerà un atto di sottomissione culturale, un cedimento «inaccettabile», come l’ha subito definito Salvini in un tweet. Perdendoci invece una manciata di secondi, obiettivamente tanti per una persona molto indaffarata, si scopre che in quell’istituto di Pioltello, nel Milanese, intitolato a un giovane pachistano martire del lavoro minorile, quasi la metà degli studenti proviene da famiglie di tradizione islamica e già l’anno scorso ha onorato la ricorrenza restandosene a casa. Il preside non si è sottomesso. Si è limitato a prendere atto della realtà: una scuola dove il numero di chi osserva i costumi islamici è praticamente identico a quello di chi segue quelli locali è chiamata a rispettare tutte e due le culture.
(L’importante è che il giorno perso venga recuperato e il preside ha dato rassicurazioni in tal senso).

Stavolta l’equazione «più Ramadan meno Natale» è fuori luogo, benché sia purtroppo assai diffusa tra coloro che hanno un’idea autopunitiva del concetto di inclusione. La pavidità non consiste nel riconoscere il Ramadan, ma nel vergognarsi del Natale, così come di tanti altri simboli della nostra tradizione. Carlo Fruttero, maestro di scrittura, diceva sempre: «Se sei incerto tra due aggettivi, toglili entrambi». Quanto aveva ragione. Invece per i diritti vale la regola opposta: aggiungerne uno non ha mai tolto niente a nessuno