Il voto rilancia Forza Italia, anche FdI punta sul centro (Salvini permettendo)

Centro destra, la sfida inattesa: il nuovo vento che porta scompiglio dopo l’Abruzzo

(FLAVIA PERINA – lastampa.it) – Dopo l’Abruzzo c’è un nuovo vento che scompiglia il centrodestra e porta allo scoperto un diverso tipo di concorrenza interna. Al vecchio duello tra FdI e Lega si aggiunge una inaspettata sfida al centro: pronto a candidarmi alle Europee, dice Antonio Tajani, puntiamo al dieci per cento «con obiettivo 20 per le prossime politiche».

Obiettivo 20 può significare due cose nel bacino di una coalizione che numericamente è immobile da sempre: o Forza Italia immagina nei prossimi tre anni di annettersi l’intero elettorato di Matteo Salvini oppure punta a conquistare metà del mondo che oggi vota Giorgia Meloni. Un’Opa ostile piuttosto imprevedibile da parte del vicepremier «tranquillo», quello che non si è mai messo di traverso ma ha sottoscritto con silente rassegnazione ogni picconata ai suoi interessi, le norme sugli extraprofitti bancari, l’azzeramento senza proroghe del superbonus, la marginalità nella partita delle nomine.

Il fatto è – lo hanno capito tutti – che le Europee segneranno un atto di riconfigurazione del centrodestra non solo in termini numerici ma anche di prospettiva. Finora ha retto il vecchio assetto inventato da Silvio Berlusconi e riaggiustato man mano che gli eventi modificavano il quadro. C’era la destra di FdI, piccolina ma indispensabile, che presidiava le istanze nazionaliste e l’orgoglio patriottico. La Lega, dopo la transizione bossiana, parlava alle nuove masse del populismo arrabbiato e intercettava gli emergenti istinti anti-europei. Forza Italia lavorava per conservare almeno a livello europeo il ruolo di baricentro moderato, guardiano degli altri due, pagando pegno elettorale per il declino del fondatore ma conservando il suo status di partner affidabile.

Quello schema è saltato. Bisognerebbe trovarne un altro, ma come si fa? FdI, che si prepara a vincere le Europee e spera in percentuali superiori alle politiche del 2022, secondo logica dovrebbe incamminarsi verso il centro, a fianco di Ursula von der Leyen (che ieri ha accompagnato Giorgia Meloni in Egitto, per un incontro con il presidente Al Sisi definito «storico» dai suoi). E’ il partito di maggioranza relativa. E’, vorrebbe essere, il privilegiato interlocutore dell’Europa del dopo-voto. Ma non può permetterselo con un nemico a destra come Matteo Salvini, che giocherà la sua intera campagna elettorale puntando l’indice contro i traditori della causa euro-scettica.

L’affiliazione di Eric Zemmour, il silenzio sulle mattane putiniane di Victor Orban, l’imbarazzo sulla cavalcata di Donald Trump, sono per FdI un esercizio di equilibrismo indispensabile per sostenere la frase: noi non siamo cambiati, siamo quelli di sempre. È la linea del fronte oltre la quale la destra italiana immagina gli ufficiali salviniani già pronti ad arruolare i delusi, blandire gli scontenti e impadronirsi dei voti dei frustrati. E dunque, a ogni Marine Le Pen si risponderà con una Marion Marechal, a ogni comandante Vannacci in divisa da parà si replicherà con il sostegno ad altre divise, magari impegnate contro gli studenti. Incamminarsi verso il centro è un rischio che a destra nessuno vuole correre. Non ora, non prima del voto che stabilirà la solidità della leadership meloniana.

Dall’altra parte, sul versante del Capitano, figuriamoci. Lo schema delle due destre nazionaliste che gareggiano a chi è più fedele alla linea è irrinunciabile. È il solo gioco che Salvini sa fare, l’unico che gli consente di rimanere dove sta almeno per un po’: ogni altro modello richiederebbe un passo indietro. E allora ecco l’annuncio della nuova convention sovranista sabato prossimo a Roma. Ecco i toni incendiari alla riunione con i giovani e l’annuncio di un 25 aprile militante «per parlare di libertà e orgoglio». Ecco l’operazione terzo mandato, autolesionista solo in apparenza, perché il vero messaggio emerso dal voto contrario in Parlamento è: Meloni è nemica di Luca Zaia, del Veneto, del Nord, chi pensa a un’appeasement è uno sciocco.

Il nuovo vento che nessuno si aspettava arriva a questo punto della storia. E chissà se lo hanno determinato le troppe crisi, le troppe paure, la stanchezza verso la modalità adrenalinica della nostra politica, i telegiornali pieni di città distrutte e di disperati che si ammassano intorno ai camion della farina. Chissà se è solo un rimbalzo della storia, il ritorno del centro proprio mentre nessuno ci credeva più, fallito il Terzo Polo, fallito ogni tipo di cespuglio che cercava di crescere in quel campo. Chissà. Sta di fatto che oggi è Antonio Tajani a battere banco nel luogo dove né Meloni né Salvini possono spingersi senza pagare pegno: i famosi moderati, europeisti, popolari, eccetera, un bacino che si credeva estinto ma forse non lo era.

A incoraggiare la sfida ci sono dati dell’Abruzzo (13%, due punti in più del 2022, Lega doppiata), gli accordi sul Molise con Italia Viva già entrata nel team del forzista Vito Bardi e Azione che si prepara a farlo, e ovviamente i sondaggi che accreditano il possibile sorpasso di FI sul Carroccio e segnalano l’effetto-traino del capolistato di Tajani. Vedremo. La riconfigurazione del centrodestra è un work in progress su cui nessuno sembra avere un’idea chiara: alla fine ci penseranno gli elettori, almeno per un po’, fino alla chiamata alle urne successiva dove ricomincerà tutto da capo.