IL NODO UCRAINA – Sia prima sia dopo l’invasione russa, ci fu la possibilità di trattare sulla neutralità di Kiev. Nel marzo 2020 Zelensky parlò di rinunciare all’Alleanza e rinviare il discorso Crimea

(DI SALVATORE CANNAVÒ – ilfattoquotidiano.it) – Passare in rassegna tutti gli accordi falliti del conflitto ucraino-russo non significa, come sostengono giornalisti allineati, prendere le parti di Vladimir Putin o farsi illusioni sulle intenzioni della Russia. Significa invece fare un’analisi oggettiva di quanto avvenuto in un conflitto lungo ormai dieci anni. Non si tratta quindi di una prospettiva impossibile o appannaggio di “anime belle” o magari delle visioni di Papa Francesco. Accordi e tentativi di negoziato si sono giocati per interi dieci anni, sin dal 2014, spesso con disponibilità improvvise dell’Ucraina. Poi un incidente, un’azione improvvisa, un intervento internazionale ributtava la palla in tribuna facendo saltare quei tenui fili di dialogo.

Settembre 2014. Le manifestazioni di piazza Maidan si sono concluse da poco, lo scontro tra i filo-occidentali e i filo-russi è stato cruento, gestito dagli ucraini ma con forze che hanno agito anche sopra le loro teste (si ricorderà la famosa telefonata tra la sottosegretaria al Dipartimento Usa, Victoria Nuland, a proposito delle manovre per insediare il nuovo governo ucraino con quel “L’Ue si fotta!”). L’accordo di Minsk tra Ucraina, Russia e le regioni russofone del Donbass con il patrocinio Osce prevede il cessate il fuoco, lo scambio dei prigionieri, l’indipendenza di un terzo dei territori del Donbass mentre due terzi restano all’Ucraina. A violare l’accordo sarà il presidente filo-europeista Petro Poroshenko con una operazione “antiterrorismo” con i neo-nazisti del battaglione Azov poi integrati nella Guardia nazionale.

Febbraio 2015. Vengono siglati gli accordi di Minsk 2 tra Russia e Ucraina, garantiti da Francia e Germania: dopo il cessate il fuoco sotto l’egida dell’Osce, l’intero Donbass tornerà sotto il controllo di Kiev, ma in cambio di una risoluzione parlamentare e di una riforma costituzionale che garantiscano uno statuto speciale. L’Ucraina non concederà l’amnistia e soprattutto esige che i russi si ritirino prima di una possibile transizione democratica con elezioni. I russi pensano che prima occorra sancire i diritti degli indipendentisti: gli accordi saltano.

Giugno 2017. Il Montenegro, uno degli Stati balcanici che componevano la ex Jugoslavia entra nella Nato. Nel 2020 lo farà anche la Macedonia del Nord. Il 7 febbraio il Parlamento di Kiev approva la riforma della Costituzione che, al nuovo articolo 85, impegna l’Ucraina alla “piena adesione all’Ue e alla Nato”.

Gennaio 2020. Il presidente Donald Trump fa assassinare il generale iraniano Soleimani. A giugno, poi, il vertice Nato di Bruxelles “ribadisce la decisione presa nel summit di Bucarest 2008 secondo cui l’Ucraina diventerà membro Nato, con tutte le decisioni conseguenti”.

Giugno 2021. Biden e Putin si incontrano a Ginevra e il presidente russo chiede garanzie per la sicurezza di Mosca contro nuovi allargamenti della Nato. A giugno, luglio e settembre la Nato svolgerà tre grandi esercitazioni militari in Ucraina. Ad agosto, infine, alla Casa Bianca viene siglato lo Us-Ukraine Strategic Defense Framework (“Quadro di difesa strategica”) che ribadisce il via libera di Washington all’ingresso dell’Ucraina nella Nato.

8 marzo 2022. La guerra è scoppiata nemmeno da un mese, con l’invasione russa dell’Ucraina, e Zelensky critica la Nato: “Ci siamo resi conto che la Nato non è pronta ad accettare l’Ucraina”. Quanto a Crimea e Donbass, “possiamo discutere con Putin e trovare un compromesso sulle regioni e le repubbliche occupate temporaneamente”.

16 marzo. Il Financial Times svela un piano di pace in 15 punti: rinuncia di Kiev a entrare nella Nato e a ospitare basi militari o sistemi d’arma stranieri; garanzie di sicurezza per il Paese da Usa, Gran Bretagna e Nato; autonomia del Donbass. Biden offre un contributo diretto e definisce Putin “criminale di guerra” per gli attacchi su Mariupol dove Kiev accusa i russi di aver compiuto una strage. Mosca smentisce.

28 marzo 2022. Volodymyr Zelensky dichiara: “Lo status neutrale e non nucleare dell’Ucraina siamo pronti ad accettarlo: se ricordo bene, la Russia ha iniziato la guerra per ottenere questo. Poi servirà discutere e risolvere le questioni di Donbass e Crimea. Ma capisco che è impossibile portare la Russia a ritirarsi da tutti i territori occupati: questo porterebbe alla Terza guerra mondiale”. Il presidente ucraino ha poi cambiato idea.

3 aprile. Vengono diffuse le immagini di un’altra strage, quella di Bucha che secondo il ministro degli Esteri ucraino Kuleba “è stato deliberato” perché “i russi mirano a eliminare il maggior numero possibile di ucraini”. Si parla di rastrellamenti e pulizia etnica (di cui poi non si parlerà più). Bucha contribuisce a far chiudere il processo negoziale. Biden dichiara che “non si tratta con un criminale di guerra che va processato”. Due anni dopo il presidente turco Receyp Erdogan dichiarerà che quel tentativo di pace “fu sabotato” e anche l’ex vice capo del ministero degli Esteri ucraino, Alexander Chaly, dirà che “ai negoziati del marzo-aprile 2022 Putin voleva raggiungere una soluzione pacifica con l’Ucraina”.

9 aprile. A sorpresa giunge a Kiev il premier inglese Boris Johnson che annuncia ulteriori aiuti. Johnson spiega a Zelensky che quella in corso è un’ottima chance per infliggere una durissima punizione a Putin. Accordi addio.

Settembre 2023. Il segretario generale della Nato Stoltenberg dichiara al Parlamento europeo: “Nel 2021 Putin ci inviò una bozza di trattato: voleva che la Nato firmasse l’impegno a non allargarsi più. Naturalmente non lo abbiamo firmato. Era la precondizione per non invadere l’Ucraina. Lo abbiamo rifiutato e lui è andato alla guerra, per evitare di avere confini più vicini alla Nato”. Infatti.