(Giuseppe Di Maio) – Pare quasi senso comune che l’area del non voto sia composta da buone persone disgustate dalla politica di tutti i partiti. A questa panzana se ne aggiungono altre, tra le quali spicca quella dei 6 mln di voti persi dal M5S perché ha smarrito la purezza delle origini. Queste idee in realtà sono sentimenti popolari, comuni, appunto, spesso sostenuti da politici disonesti che semplificano le analisi proprio per incastrare l’elettorato nelle spire della democrazia, per blandirlo e convincerlo al consenso. Invece le cose stanno diversamente, e ciò che si crede del popolo e dei suoi ideali spesso appartiene alle mitologie rivoluzionarie.

Partiamo dall’ultima, dalla purezza perduta dei grillini. Il M5S non ha avuto il suo boom quando si candidò a rifondare la sinistra, ma l’ebbe non appena la destra perse il suo leader: quando cioè Berlusconi si dimise ammettendo la sua incapacità a gestire le difficoltà del momento, e quando gli altri partiti salvo la Lega appoggiarono i rigori del governo Monti. Pochi mesi dopo l’esperienza dei tecnici Grillo e il suo Movimento divennero il primo partito italiano. Da dove arrivarono tutti questi voti se non dal calderone di destra orfano del suo leader, e che cosa credete avessero nel cuore questi elettori se non l’ostilità verso la classe dirigente rappresentata dai governi degli esperti e dai loro alleati di destra e di sinistra? L’elettorato dello tsunami tour era curioso, e sperava che le contraddizioni svelate da Grillo nelle piazze fossero risolte con uno schiocco di dita, sicché nella mancanza di ideologia (né di destra né di sinistra) poteva nascondere i veri obiettivi privati, quelli che i Greci avrebbero chiamato “idioti” contrapponendoli agli obiettivi politici.

Ecco chi erano gli elettori vomitati dai serragli della destra: coloro che speravano in una politica che potesse portare loro dei vantaggi sul proprio concorrente di classe. Insomma, erano i reazionari, che si contrapponevano ai conservatori, a coloro che avevano già raggiunto dei risultati sociali soddisfacenti. Ho dovuto sopportare nei meetup questi animosi “cittadini” destrorsi prima che Conte stilasse chiaramente nel suo Statuto le linee guida di un partito nemico delle diseguaglianze. E ora che quei milioni di elettori sono ritornati nuovamente alla destra (che nel frattempo ha sdoganato leader prima impensabili), il nucleo degli elettori del M5S è formato sempre di più da uno sparuto presidio radicale, tutto quello che può esprimere la società italiana divisa tra conservazione e reazione, tra un ceto agiato e uno che aspira a diventarlo.

Chi non vota ha deciso che la politica non gli può essere utile; che contribuire alla creazione di regole giuste non gl’importa più un fico secco; che potrebbe essere stanato dalla sua inerzia democratica solo di fronte ad un interesse concreto; che essere deluso è molto più comodo che innamorarsi ancora di un programma; che le proprie ambizioni sociali è meglio tenerle per sé, invece di gridarle ai quattro venti. Poi, c’è anche chi non ha capito a cosa servono le elezioni.