
(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Lo spot del ministero dei Trasporti sui rischi che si corrono guardando il telefono mentre si guida è sacrosanto e condividiamo l’entusiasmo con cui il ministro in persona lo ha celebrato sui social.
Cioè, lo condivideremmo se non fosse che nessuna delle quattro ragazze protagoniste del video indossa la cintura di sicurezza. Qualcuno si chiederà come sia possibile che un così macroscopico sfondone sia passato inosservato a chi ha scritto lo spot, ma anche a chi lo ha prodotto, girato, interpretato, montato e infine a chi, dentro il ministero, lo avrà guardato per l’approvazione definitiva. La risposta è semplice, purtroppo: viviamo nel culto, o sotto il tallone, della velocità, e la Fretta ha una sorella gemella che si chiama Sciatteria. Coloro che hanno lavorato a quella pubblicità lo avranno fatto di corsa per rispettare tempi di consegna frenetici, dettati dall’esigenza di risparmiare su tutto, dall’affitto del set a quello della saletta di montaggio.
Lo so, predico dal pulpito sbagliato. Nei giornali vige la regola del «meglio mai che tardi», ma la stampa quotidiana nasce trafelata fin dall’Ottocento, essendo la rapidità la sua ragione sociale. È il resto del mondo che si è adeguato al modello senza averne alcun reale bisogno. A proposito di sicurezza: oltre che sulle strade, il limite di velocità andrebbe abbassato anche nelle altre attività umane. Andare più piano non rende meno sballottabili dagli errori, ma dà almeno il tempo di allacciare le cinture.
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