
(CHIARA SARACENO – lastampa.it) – Centoquarantacinque morti sul lavoro da inizio anno, oltre 3 al giorno. Una vera e propria epidemia che non si può derubricare a fatalità e sfortuna. Si muore di lavoro perché chi ne ha la responsabilità, per fretta, voglia i tagliare i costi, semplice insipienza, non osserva e non fa osservare le norme più elementari di sicurezza e non si preoccupa se i lavoratori hanno ricevuto la formazione necessaria. Che il lavoro manuale, e in particolare quello edile, sia più a rischio di infortuni e di morte non è l’inevitabile conseguenza delle caratteristiche del lavoro. Piuttosto è l’esito di un disprezzo per i diritti e la sicurezza di chi lo fa: materiale umano “a spendere”, forse meno prezioso di quello non umano. Lavoratori che, nell’immaginario collettivo, ma anche troppo spesso nella pratica quotidiana, non vengono ritenuti bisognosi di formazione specifica, ma solo di forza fisica e un po’ di esperienza pratica. Non a caso l’edilizia è sempre stata il grande bacino di occupazione di chi non riusciva a trovare altro o non sapeva fare altro, ed oggi dei migranti. Eppure, come sanno bene i più esperti tra loro, non richiede solo destrezza manuale, ma conoscenza dei materiali, delle procedure, oltre che dei rischi e di come proteggersene al meglio. Conoscenza che non sempre viene fornita e tantomeno accertata e controllata nella sua attuazione pratica, da parte dei singoli lavoratori ma anche e soprattutto dei responsabili di cantiere. Non si comprende altrimenti come possa succedere che un solaio di un edificio in costruzione crolli all’improvviso.
Non è fatalità né errore umano individuale. Così come non è fatalità né errore umano che qualcuno venga falciato da un treno in corsa mentre sta lavorando sui binari quando non dovrebbe essere lì, è la conseguenza di mancati controlli lungo la catena delle azioni, che alla fine scarica tutto, anche la responsabilità della propria morte, sull’ultimo anello della catena: sul lavoratore che non sa che cosa può succedere, che è ben contento di essere stato preso a lavorare anche se non ha la formazione adeguata, che si fida di chi sta sopra di lui, o che si sente ricattato o minacciato nella sicurezza del lavoro se resiste, fa domande, rifiuta. Una situazione tanto più diffusa quanto più non solo il bisogno di trovare un lavoro purchessia è forte, ma anche ci si inoltra nella giungla degli appalti e dei subappalti. Una situazione di cui il settore edilizio è per molti versi esemplare, anche se non unico e che non è colpa solo dell’attuale governo, anche se questo ci ha messo di suo nell’allentare i vincoli ai subappalti.
Invece di indignarsi delle parole di Landini, Salvini farebbe bene a interrogarsi su un sistema che rende opaca la catena di responsabilità e incoraggia la corsa al ribasso di salari e sicurezze. Anche questa volta, i proprietari del supermercato in costruzione in cui è avvenuto il mortale incidente che ha ucciso, per ora, tre operai e ne ha feriti gravemente altri, si sono subito chiamati fuori da ogni responsabilità in quanto avrebbero subappaltato i lavori a un’altra azienda. Ma bisognerà bene intervenire su questo micidiale sistema di scatole cinesi in cui alla fine nessuno, salvo i morti e forse qualcuno poco più in su nella lunga catena, è responsabile di nulla ed anche arrivare alla affermazione chiara di una responsabilità (anche) di chi appalta (e subappalta) nella verifica della serietà professionale dell’appaltatore e del rigore con cui applica le norme di sicurezza e i contratti di lavoro. Altrimenti i lavoratori dell’ultimo anello della catena continueranno a rischiare non solo di essere sfruttati, ma di essere uccisi non dal lavoro che fanno, ma dalle condizioni in cui si trovano costretti a farlo. E i lutti cittadini, gli scioperi di protesta, le dichiarazioni di rammarico e solidarietà delle autorità locali e nazionali continueranno ad essere nulla più che gesti rituali.
Forse alla giornalista, presa dalla fregola di cavalcare uno dei tanti argomenti in auge (incidenti sul lavoro in questo caso) è sfuggito che qui non è crollata un’impalcatura, come sulle prime s’è pensato (chi poi lo abbia pensato, visto l’esplicito filmato, sarebbe bello saperlo) ma una trave che ha fatto collassare a catena i solai. La morte è il ferimento sono si avvenuti sul lavoro, ma non certo per negligenze su misure di sicurezza: nessuna misura di sicurezza, tranne l’essere altrove, ti pone a riparo da un cedimento strutturale. Quindi, tutta la sua polemica è pretestuosa. Magari si dia più da fare nel capire perché è avvenuto il cedimento (errori di progetto, inadeguata resistenza del materiale, errato posizionamento …)
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A parte la critica retorica che generalmente si usa nel contesto di un articolo, possibile che non sorga nemmeno lontanamente la domanda: Nel Paese dei ponti che crollano “senza nessun colpevole” si parla ancora di nucleare sicuro?
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E la domanda successiva:
ma quanti referendum dobbiamo vincere perché i governi italiani si arrendano al fatto che noi cittadini NON vogliamo il nucleare in Italia?
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Prima di tutto vorrei far notare che Chiara Saraceno non è una semplice giornalista, è una sociologa e studiosa fenomeni sociali di lunga carriere, ha anche una certa età e quindi una esperienza in tutti sensi. Nell’articolo l’accento è posto nei giusti posti, sul fatto umano con tutto ciò che comporta (errori, negligenze, irresponsabilità, ecc.) e la prof.ssa sa quello che scrive. Mentre lei sig. Mario, come molti si sofferma sul tecnicismo, sul pratico, illudendosi che la tecnica sia neutra, si sbaglia proprio di tanto: qualsiasi cosa fatta dall’uomo è soggetta al pensiero alla logica, all’etica … e tant’altro, quindi alla fine tutto porta al come l’uomo agisce. Il disprezzo delle regole nel nostro Paese è purtroppo oramai qualcosa di DNA.
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La petalosa Meloni che tempo fa si commuoveva per la pesca pubblicitaria della Esselunga, questa volta si limita a esprimere le più sentite condoglianze “per le vittime del crollo di una trave in un cantiere di Firenze”. Per lei è disdicevole qualificare i morti come operai, altrimenti correrebbe il rischio di “disturbare chi vuol fare”, come ebbe a dire nel suo discorso d’insediamento. “Fare” appunto, perché usare il verbo “lavorare” avrebbe comportato il ricevimento del valore fondante della repubblica. La strage di Firenze – città della cupola del Brunelleschi – mostra come in Italia sia possibile “fare” in pieno centro urbano dei cantieri enormi senza nessun controllo, dei materiali utilizzati, delle qualifiche dei lavoratori impiegati, della posa in opera delle strutture realizzate.
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”’Centoquarantacinque morti sul lavoro da inizio anno, oltre 3 al giorno. Una vera e propria epidemia che non si può derubricare a fatalità e sfortuna. ”’
MA se la Meloni e Salvini si sono tanto impegnati, con la complicità di altri, per delergolamentare gli appalti minori e per abolire l’ABUSO DI UFFICIO, come pensiamo che capiscano quale è il problema?
Del resto, se è vero che sono morti 6.500 operai per realizzare i mondiali del Qatar, e nessuno se ne è più ricordato dopo l’inizio degli stessi, di che parliamo? La classe dominante non corre questi rischi, purtroppo: a lavorare ci vanno gli schiavi.
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In questo paese dal DNA mafioso, va tutto bene finché va tutto bene. Ma poi se qualcosa va male, la colpa è sempre sistematicamente degli altri. Che gran comodità.
La politica con le proprie decisioni – spesso oggettivamente criminali – è sempre, in ultima analisi, la responsabile di tutto, in questo paese di ladri, mafiosi e corrotti sin dai piani più alti. È facilissimo da capire. Altro che meritocrazia, altro che competizione virtuosa. È l’opposto: è tutta corsa al più schifoso ribasso. Chi paga son sempre gli stessi, i morti di fame, senza diritti, senza tutele, senza protezioni. È tutto ambiguo, è tutto disequilibrato (ma parlando di politica, direi più volentieri “squilibrato”). Che futuro può mai avere un Paese in queste condizioni? Chi ha votato questi cialtroni schifosi (o quelli di prima, che erano identici in questo senso; non dimentichiamoci che la riforma Cartabia fu attuata dal governo “dei Migliori”) se ne sta rendendo conto? La domanda non è poi così retorica…
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E diranno come al solito….”e che non debba più succedere”…infatti poi risuccede!
Ci laviamo la bocca di belle parole …. ma non si va al nocciolo del problema.
Il lavoro è un costo e tale costo deve essere sempre più ridotto per aumentare sempre più “profitto”!
Lavorare per vivere non per morire ..grandi pdm!
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