(Giuseppe Di Maio) – Dalle intemperanze grottesche del sindaco di Terni, riemerge che non si reputa né di destra né di sinistra, proprio come i vangeli populisti e pigliatutto. Ma poi scopriamo dai programmi, dalle intenzioni, dai fatti, che il M5S, ad esempio, non solo è di sinistra, ma è la sinistra stessa che si rifonda attraverso il Movimento; per le stesse ragioni scopriamo che tanti outsider balzati ai successi degli agoni locali sono invece organici alla destra. Se a Stefano Bandecchi togliessimo il suo fisicismo non resterebbe niente. E che cosa rimarrebbe se lo togliessimo alla destra, principalmente a quella del ventennio e poi a tutte le altre? La violenza che accompagna le manifestazioni fisiche nella politica è l’elemento costante nell’ideologia della destra.

La stragrande maggioranza dei cittadini si fa guidare nella vita familiare, sociale e civile, dall’istinto, dal sentimento. Quando questi cittadini diventano elettori, solo per pochi di essi la ragione resta un fattore determinante, per gli altri la scelta politica è opera della simpatia, della pancia, del naso. E’ chiaro che proporre all’elettorato un minuzioso ordine ideologico, un sofisticato impianto di società futura, è una perdita di tempo, un pericoloso rebus che pochi capirebbero. E’ meglio perciò parlare il linguaggio della gente, cioè quello dei sentimenti. E se ne analizzassimo la natura vedremmo che per lo più sono costruiti a tutela dell’individuo e della sua dimensione privata. Ma ce ne sono anche di collettivi che coinvolgono inevitabilmente la dimensione pubblica.

Tutto il linguaggio della destra, dall’impianto ideologico alle manifestazioni folcloriche, è permeato di privatismo che esprime fiducia, esaltazione dei destini personali su quelli collettivi. Fino al punto di indicare le dottrine democratiche e socialiste come vuote costruzioni, trappole della ragione per il vantaggio di cittadini immeritevoli. La violenza di cui si avvale questo linguaggio scaturisce dall’uso esclusivo dei sentimenti, dalla riduzione del messaggio politico ad aggressione emozionale, dalla prevalenza del privato sul pubblico, dai vantaggi personali conseguiti col trucco alterando la regolare competizione. Fino a giungere alla maggiore violenza, alla menzogna, alla mistificazione di cui si avvale una banda costretta a giocare il suo gioco dentro inattaccabili strutture democratiche.

E’ questa la differenza tra il vecchio e il nuovo fascismo: non poter più esprimere liberamente la violenza fisica, mascherarla dispensando panzane a gente che non usa più la ragione; avvalersi della democrazia come clava della lotta di classe e della propensione al vantaggio; avere autorità dello Stato che dissimulano l’orgoglio esplicito delle proprie idee; una donna leader che indebolisce i sospetti di allarme democratico.