(Massimo Gramellini – corriere.it) – Dopo averla avuta sul podio, alcuni orchestrali di Palermo hanno pubblicamente affermato che Beatrice Venezi è incapace di dirigere. Non che il suo stile è discutibile, ma proprio che muove la bacchetta a caso, o giù di lì.

Non ho la competenza per assecondarli e nemmeno per smentirli. Prendo solo atto che i loro giudizi non hanno provocato una levata di scudi in sua difesa, come invece sarebbe accaduto se a essere attaccata sul piano della professionalità, addirittura della legittimità a occupare un ruolo di comando, fosse stata una qualunque altra donna non schierata politicamente da una certa parte, cioè a destra. Tutti, magari sbagliando, avrebbero interpretato le parole degli orchestrali come un inaccettabile attacco sessista a una musicista che ha il grave difetto di essere femmina, per di più giovane e fotogenica. E sarebbero fioccati i riferimenti gonfi di sdegno alla discriminazione di cui continuano a essere vittime le donne, ogni qual volta cercano di affermarsi in ambiti lavorativi prevalentemente maschili.

Ripeto, non sono in grado di escludere che gli orchestrali abbiano ragione e che sul podio Venezi non sappia quando scatenare i violini e far tacere i tromboni (o viceversa). A sorprendermi non è il giudizio musicale di chi la critica, ma il pregiudizio ideologico di chi non la difende. Ancora talmente radicato — nell’Italia del 2024 — da prevalere su tutto, persino sulla solidarietà di genere.