(di Massimo Gramellini – corriere.it) – A parte le feste movimentate da pistoleri con tessera parlamentare e le strade di Milano dove confraternite di cretini tendono cavi d’acciaio per vedere l’effetto che fa, i luoghi più pericolosi di questo inizio d’anno sono i Pronto soccorso. Oltre alla coda del Covid devono fronteggiare l’influenza invernale, che contro ogni previsione e buona creanza ha deciso di diffondersi proprio d’inverno. E poiché gli ambulatori latitano e i dottori a domicilio sono un ingannevole ricordo d’infanzia come Babbo Natale, chiunque abbia la febbre alta si precipita al P.S. più vicino.

Da Milano a Napoli, le ormai famigerate sale del Codice Rosso sono ridotte a bivacchi di barelle intorno a cui si aggirano pazienti apparentati e parenti spazientiti, nonché medici più esauriti dei posti-letto. Così ogni giorno ci scappa un guaio: ieri un’infermiera, Anna Procida, si è presa un cazzotto in faccia da un energumeno a cui aveva chiesto di non ostruire l’ingresso, e se non è finita al Pronto soccorso è soltanto perché, purtroppo per lei, c’era già.

Quel tizio è ovviamente imperdonabile, ma della sua mascalzonata non dovrebbe rispondere da solo. Accanto a lui, sul banco degli imputati, andrebbero fatti sedere il governo parolaio di Conte, che durante i lockdown giurava che mai più la sanità pubblica si sarebbe ritrovata in questo stato, e quello piagnone della Meloni: non speri di cavarsela tenendo il prossimo Consiglio dei ministri in un Pronto soccorso a barelle unificate.