
(Stefano Rossi) – Alla fine, Claudine Gay, presidente dell’università di Harvard si è dimessa.
Ha resistito per mesi agli attacchi che provenivano da più fronti ma alla fine, per il bene dell’università, è stata costretta alle dimissioni.
Tutta colpa di una pacifica manifestazione di alcuni studenti che si sono sentiti in dovere di schierarsi dalla parte dei palestinesi (non di Hamas, ben inteso) dopo l’attacco del 7 ottobre scorso. Manifestazione che è stata definita dalla comunità israeliana, antisemita.
Gay è stata la prima donna nera a risiedere nella poltrona più alta di Harvard appena sei mesi fa.
Non è stata la sola a subire ritorsioni.
Anche Liz Magill, rettrice dell’università della Pennsylvania e Sally Kornbluth, rettrice della Massachusetts Institute of Technology (MIT) sono finite nel mirino della comunità israeliana.
Tutte e tre sono state convocate davanti alla commissione del Congresso il 5 dicembre scorso per capire se fossero antisemite o, forse, come è stato sostenuto da molti, per tendere una trappola per costringerle alle dimissioni.
La trappola era nella domanda: “Se invocare il genocidio degli ebrei violasse i codici di condotta delle loro università su bullismo e molestie”. Effettivamente bastava rispondere di no, ma così si sarebbero inimicati i difensori dei diritti civili e delle minoranze. La trappola era innescata e Claudine Gay ci è finita dentro rispondendo che dipendeva tutto dal contesto dei fatti. E’ stata interrogata per oltre 5 ore dalla deputata repubblicana Elise Stefanik!
Nonostante 700 persone, tra studenti e professori, avessero preso le sue difese, sono continuati gli attacchi personali fino a “scovare” dei plagi su alcune sue pubblicazioni.
Come molti sanno, gli studi dei ricercatori e professori universitari sono pregni di citazioni e studi altrui, tutti debitamente citati nelle fonti e nella bibliografia. Può capitare che tra le centinaia di scritti possa sfuggire una citazione. C’è chi si è impegnato a trovare il tarlo, il pelo nell’uovo, come si dice, pur di arrivare all’anelato premio di sconfiggere una nemica, una donna che non si era apertamente schierata a favore di Israele.
Bisognava a tutti i costi ridicolizzarla, umiliarla, infangarla e deriderla fino a che non cedesse il posto.
E quando sono in tanti a combattere all’unisono per raggiungere un obiettivo, alla fine, ci sono riusciti (sul giornale conservatore Washington Free Beacon sono state pubblicate accuse di presunte citazioni scorrette mai verificate).
Jill Abramson, ebrea, per tre anni a capo del New York Times, laureata proprio ad Harvard, si concede un’intervista telefonica con Open per spiegare cosa succede nelle università statunitensi che sono state, da sempre, le prime a manifestare in difesa dei diritti civili (ricordiamo quelle contro la guerra in Vietnam, in difesa degli afroamericani negli Stati del Sud).
“Gli studenti della Ivy League sono diventati molto attivi politicamente tanto tempo fa: negli anni Sessanta con il movimento per i diritti civili, perché vedevano – in maniera corretta – che i neri del Sud degli Stati Uniti erano vittime di diseguaglianza nell’applicazione della legge e nell’accesso alla giustizia.
L’episodio del 7 ottobre 2023 ha ribaltato la loro prospettiva vittima-carnefice, capovolgendo una narrazione che vede da sempre in Medio Oriente i palestinesi come vittime e gli Israeliani come occupanti. Da qui potrebbe nascere la difficoltà di alcuni a riconoscere Israele come vittima”.
Per la verità, Jill Abramson prende le difese delle rettrici sotto accusa e spiega, su Open, che è in atto una guerra tra i repubblicani, fedeli a Trump, che hanno spinto alle dimissioni la Gay e altre sue colleghe. Ha chiarito che, tra questi, c’è l’ex segretario del Tesoro Larry Summers, noto per aver detto che l’universo femminile è biologicamente svantaggiato in campo scientifico.
Ma su una cosa rimango fortemente dubbioso e preoccupato: quando dice “la difficoltà di alcuni a riconoscere Israele come vittima”.
Proprio non si capacitano gli israeliani a riconoscersi come carnefici nell’invasione del Libano, nelle colonie della Cisgiordania, nelle stragi di Sabra e Chatila. Non prendono in considerazione la risoluzione ONU n. 2334 del 2016, nella quale è scritto: “la costituzione da parte di Israele di colonie nel territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme est, non ha validità legale e costituisce una flagrante violazione del diritto internazionale e un gravissimo ostacolo per il raggiungimento di una soluzione dei due Stati e di una pace, definitiva”.
Potrei continuare ad elencare tragici fatti ma mi fermo qui.
Qualcuno lo deve pur fare.
La memoria forse è troppo corta , non risulta che i palestinesi abbiano mai promosso l olocausto degli ebrei , forse meglio ricordare la nazione che lo promosse insieme all altra nazione che tanto lustro ci trasse ..
"Mi piace""Mi piace"