Israele ha sempre individuato nel regime iraniano l’unico nemico mortale, Hamas è il minuscolo vassallo armato ma l’esca a Nord è Hezbollah

(DOMENICO QUIRICO – lastampa.it) – Il piano sfiora la perfezione, ovvero vincere senza sparare nemmeno un colpo. Agisce come un ragno, con un itinerario lesto, prudente e sinuoso ma impetuoso come un sillogismo che va dritto allo scopo. non uccide la vittima ma lo colpisce nel suo punto vitale e gli toglie ogni ragione di essere. Sempre però ben nascosti dietro la maschera del diniego plausibile, non lasciando nessuna traccia diretta che possa far risalire ad un’azione militare con la firma di Teheran, unica motivazione che può coinvolgere nella mortale ipotesi della guerra in prima persona. Per sillabare questo alfabeto dai molti misteri gli ayatollah, o meglio i veri padroni del potere, i Guardiani della rivoluzione, hanno messo in piedi «l’asse delle resistenza», la rete che attraversa tutto il vicino Oriente. Lo compongono gruppi armati arruolati dal Libano alla Siria, da Gaza all’Iraq, con una appendice importante nel Mar Rosso, gli hansarallah yemeniti (houthi) a cui sono state concesse le patenti corsare per sconvolgere il vitale traffico in una delle vene marittime del mondo. Così la guerra grossa, quella che metterebbe a nudo la inferiorità di Teheran rispetto ai suoi nemici, Israele e gli Stati Uniti, non si coagula. Ma intanto gli squarci messi a segno diventano sempre più sanguinosi e brucianti e l’uragano sale con passi da ladro. Non a torto Israele ha sempre individuato nell’Iran l’unico nemico che costituisce un pericolo davvero mortale. E inveisce contro i goffi tentativi dell’Occidente di frequentare gli infrequentabili ayatollah, atti che gli appaiono una fisima da rimbambiti.

Gli Stati Uniti hanno risposto a una serie di attacchi contro le base americane in Iraq, colpite con raid di precisione, contro le milizie filoiraniane in Iraq.

Il sette ottobre ha segnato lo zenit di questa strategia. Hamas, il minuscolo vassallo palestinese, armato e addestrato con metodo alla frontiera meridionale della «entità sionista», ha messo a segno una ringhiosa unghiata mandando in frantumi la invincibilità del «piccolo Satana»; che assomiglia ora a un grande albero colpito da un fulmine. Perché la distruzione di Israele è acclimatata nelle stagioni della collerosa e bollente teocrazia iraniana come fiori nella serra. Non ci sono insurrezioni interne, sanzioni economiche e isolamento internazionale che possano costringere i faccendieri del dio sciita a rinunciare al progetto di purificare la «umma» islamica dalla macchia ebraica. Proprio Hamas si è rivelato, nonostante la sua teologica estraneità, l’esecutore più efficiente e micidiale. Scelto e allevato proprio perché, come Daesh, non infagotta la sua jihad con le salse piccolo borghesi di uno Stato palestinese alla maniera dei decorativi vegliardi di Al Fatah, ma punta alla soluzione finale con qualsiasi mezzo e senza badare a calamità malthusiane, neppure ai danni della popolazione palestinese. La sanguinosa invasione nel Sud di Israele era l’esca per costringere Tsahal a rispondere con una violenza ancor superiore, impaludandosi in una guerra di usura, umana e disumana, di cui a Gerusalemme disorientati saccentuzzi sembrano aver chiari gli obbiettivi raggiungibili.

Teheran ha già vinto, dunque. Per questo, per non compromettere la vittoria, ha paura di un guerra totale nel Vicino Oriente almeno quanto gli americani. Comprometterebbe questo promettente anno zero che ha provocato: con il piccolo Satana umiliato militarmente e bloccato nel tentativo di spezzare molti tabù, tra cui la normalizzazione, melmosa e molesta per l’Iran, delle relazioni con molti Paesi musulmani tra cui il rivale sunnita, l’Arabia saudita. Il regime ha bisogno di guadagnare tempo mentre bordeggia silenziosamente verso l’ultima thule della potenza: quando avrà nell’arsenale la bomba atomica , piccola o grande non importa, allora diventerà intoccabile e potrà definire con prepotenza diretta le pretese geopolitiche nelle regione.

Con l’Iran usiamo definizioni stinte, malimpiastrate o ottimistiche. Prendiamo il linguaggio apocalittico degli ayatollah come prova della loro mentalità di arcaici arcangeli del male: grande Satana.. piccolo Satana… vendetta apocalittica… Qualcosa di anacronistico perché in Europa si parlava così al tempo di Bonifacio ottavo. L’eroico e, purtroppo sterile, coraggio della rivolta giovanile e femminile, ci ha distratto dalle trasformazioni del Potere. I discepoli di Khomeini sono avvicendati da una dittatura militare di modello pakistano dove i Guardiani, in cambio del sostegno armato alla «virtù islamica», impongono le decisioni strategiche e il controllo della economia. Il nazionalismo è la nuova chiave del regime, non più di fanatici religiosi ma di astuti e aggressivi tribuni. Che non si fanno tentare dal martirio come affermazione di identità.

È invece Netanyahu che tenta in tutti i modi di trascinare direttamente l’Iran nella guerra, legando così fattivamente a sé e al proprio destino politico il tentennante Biden e il livido crepuscolo americano nella regione. Eternizzare la punizione dei palestinesi e un Vicino Oriente in fiamme: in questo modo il premier in bilico conta di ricostruire sé stesso e la deterrenza israeliana.

Ma la eliminazione missilistica del responsabile della logistica dell’Asse della resistenza, il generale Sayyed Razi Mousavi, veterano dei Guardiani della rivoluzione, «responsabile del fronte siriano», non basterà a risucchiare Teheran fuori dalla sua strategia redditizia in vortici forsennati non soltanto loquaci e indiretti. Anche la eliminazione del generale Ghassem Soleimani, capo di al Qods, da parte degli americani provocò solo prose da guerra santa.

La vera esca è al fronte Nord, è Hezbollah. Un attacco annientatore sul modello di Gaza contro gli sciiti libanesi, con cui dal sette di ottobre si moltiplicano gli scontri, costringerebbe l’Iran a intervenire. Finora Teheran ha predicato prudenza, la minaccia di Hezbollah, con i suoi 150 mila razzi e missili capaci di colpire le strutture strategiche di Israele, serve per sconsigliare attacchi ebraici all’edificando arsenale nucleare iraniano. Ma senza il partito di dio sulle sponde del Mediterraneo e a puntello di Bashar Assad in Siria, militarmente e teologicamente obbediente, si sgretolerebbe tutta la dottrina iraniana. Teheran usa Hamas, ma se diventa un ingombro può fare a meno. Non può rinunciare a Hezbollah.