La lettera di Giuseppe Conte a Repubblica in replica alla newsletter “Hanno tutti ragione” di Stefano Cappellini

Gentile Direttore,

dalle colonne di Repubblica è tornato a puntare forte il dito contro di me e il Movimento 5 Stelle Stefano Cappellini, con un articolo dal titolo “Hanno tutti ragione. Il pandoro di Conte, che si oppone alla destra perché non è abbastanza destra”. Cappellini da anni si ingegna, con la posa sussiegosa di un guru della gauche caviar, a dettare la linea politica al Pd. Ma questa ambiziosa operazione non gli riesce. Et pour cause, perché ove i suoi consigli “fuggi-consenso” fossero mai apprezzati, la sinistra si ritroverebbe con un numero di elettori pari ai frequentatori dei salotti in cui lui si aggira.

Visto l’accanimento con cui ci tratta deve però essersi convinto che questo suo fallimento sia imputabile alla stabile presenza, nell’area progressista, del Movimento 5 Stelle. Insomma siamo alle solite: queste brillanti firme vivono il Movimento 5 Stelle come un fastidioso intruso non solo dell’area progressista, ma dell’intero quadro politico, da guardare altezzosamente dall’alto in basso.

Questa volta il suo dito si è scagliato contro il voto espresso in Parlamento dal Movimento 5 Stelle contro la ratifica della riforma del Mes. Una doverosa premessa. Cappellini già in passato, nel 2020, si scagliò contro il mio rifiuto – eravamo in piena emergenza Covid – di attivare il Mes. Era peraltro in buona compagnia: tutta l’Europa mi spingeva in questa direzione e qui in Italia Partito democratico, Italia Viva e parte dell’attuale maggioranza di governo tutti i giorni premevano per l’attivazione del fondo salva-stati. “L’impuntatura del M5S e l’ambiguità di Conte”, scrisse allora Cappellini, “trasmettono ai mercati l’idea di un Paese senza paracadute. Un bel capolavoro”.

Il mio rifiuto, provai già allora a spiegare, non nasceva da una impuntatura personale, ma da un preciso ragionamento politico mirato – a un tempo – a tutelare più efficacemente gli interessi nazionali e a far fare all’Europa un salto in avanti.

In Europa intendevano accontentarci con il Mes onde evitare una risposta più innovativa e solidale. Durante il famoso vertice europeo di fine marzo 2020 fui durissimo con la Merkel che mi invitava ad accettare il Mes, senza fare troppe storie. Obiettai che il Mes era uno strumento mal congegnato, inadeguato e anzi dannoso: concepito al di fuori della cornice istituzionale europea, frutto di un mero accordo intergovernativo, finalizzato a salvare singoli stati sull’orlo del default a causa di shock asimmetrici, caratterizzato da una vigilanza finanziaria giugulatoria. Spiegai che la pandemia era invece uno shock simmetrico, che l’Italia non aveva colpe per il coronavirus e che eravamo i primi a subirlo, certo, ma non saremmo stati gli ultimi per cui occorreva un efficace strumento di finanziamento costruito sul debito comune.

La storia è nota. La prima vera svolta fu la lettera che predisposi per sollecitare questa innovativa soluzione, sottoscritta dai leader di altri 8 Paesi europei. Seguì una intensa attività diplomatica: girai le principali capitali europee e rilasciai interviste a tv e giornali per convincere le varie opinioni pubbliche nazionali. Il nostro NO alla troika e ai vincoli di austerità del Mes aprirono le porte alla rivoluzione che portò in Italia 209 miliardi.

Ma tutto questo a Cappellini non è mai importato. Accecato da questo atteggiamento europeo fideistico e dal pregiudizio contro il Movimento 5 Stelle per lui il capolavoro non è stato portare in Italia 209 miliardi. Piuttosto sarebbe stato attivare Mes.

L’opposizione alla ratifica confermata dal voto di martedì scorso alla Camera ci ha fruttato nuove ire e strali dagli alfieri di un europeismo acritico e dogmatico, che in preda a una rabbia febbrile per l’epilogo registrato a Montecitorio ci accusano di incoerenza perché la “riforma” del Trattato sul Mes è stata portata avanti dal mio Governo. Lo rivendico. Ci siamo trovati – nostro malgrado – il Mes sulle spalle, grazie alla decisione assunta nel 2011 da un Governo di centrodestra in cui Meloni era Ministro e la Lega azionista.

Quando poi si è aperto il dibattito in Europa per riformare questo strumento obsoleto, noi abbiamo cercato di incidere per migliorarne gli aspetti più controversi, introducendo, ad esempio, il backstop, una cintura di sicurezza per le crisi bancarie. Sul finire del mio secondo mandato abbiamo dunque avallato il percorso di riforma del Mes, ma sono stato sempre molto chiaro in tutti i Consigli europei, con tutti i miei omologhi: avremmo avallato in Italia la ratifica della riforma del Mes solo in caso di raggiungimento di altri obiettivi che ci stavano particolarmente a cuore: primo tra tutti una profonda riforma del Patto di stabilità e crescita. Questi obiettivi sono confluiti, nero su bianco, anche nella risoluzione del Parlamento italiano adottata nel dicembre 2020. A Cappellini suggerisco questa interessante lettura per le feste: si risparmierà di scrivere articoli fuorvianti per i lettori di Repubblica.

Pochi giorni dopo quella decisione il mio Governo è stato fatto cadere da un’operazione di palazzo. Purtroppo né Draghi né Meloni hanno raggiunto gli obiettivi cruciali per la ratifica della riforma del Mes. Oltre al danno, la beffa: la Presidente Meloni non solo è tornata dall’Europa a mani vuote ma sulle sue spalle grava anche il fardello di un Patto di stabilità deciso da Germania e Francia che nel prossimo futuro costringerà l’Italia a tagli da 10-15 miliardi l’anno. È solo di fronte a questo fallimento sugli obiettivi necessari all’Italia che, in coerenza con quanto votato in Parlamento nel 2020, il Movimento 5 Stelle ha votato NO alla ratifica del Mes.

Di “truffaldino”, per dirla con Cappellini, c’è solo il suo tentativo di macchiare la condotta del Movimento 5 Stelle, il tentativo di illudere i lettori con la strampalata tesi per cui il voto del 5 Stelle ha tenuto a galla il Governo Meloni, che non sarebbe mai andato a casa per questo voto. Una tesi smentita anche dai numeri dell’Aula. Dobbiamo poi aggiungere una riflessione dirimente. Dopo aver visto Meloni e Giorgetti chinare la testa davanti a Parigi e Berlino, che immagine avremmo dato se anche noi avessimo dato l’assenso sul Trattato Mes? Prima andiamo in Europa a dire che il sì alla riforma del Mes è vincolata ad alcune contropartite per l’Italia e poi diciamo SI al Mes quando l’Italia non ha ottenuto nulla di quanto chiesto? Prima viene l’Italia, poi gli affari di bottega dei partiti.

La nostra idea di Italia non è quella di un Paese a sovranità limitata, ma di un Paese del G7 con una propria dignità, sovrano nelle scelte che tutelano l’interesse nazionale. Sovranità non è una parolaccia, non è una parola di destra. Sovranità è la parola scolpita nel primo articolo della Costituzione nata dalla Resistenza. Quando Cappellini e i suoi sodali detrattori scenderanno dal pulpito da cui ogni giorno ci rivolgono il sermone su come si batte la destra e cosa significa essere “di sinistra” – beh, forse si renderanno conto che a lottare contro il lavoro precario, la povertà, gli stipendi da fame e per la giustizia sociale e la questione morale (l’ho rilanciata proprio su questo giornale) in questi anni c’è stato sempre quel Movimento 5 Stelle che gli causa così tanti fastidi e sommovimenti di bile.

Buon Natale, Direttore, a Lei, alla redazione e ai suoi lettori,

Giuseppe Conte

La replica

Buon Natale, presidente Conte! Nella sua lunga lettera ha dimenticato di spendere una riga, e avrebbe potuto farlo come piace a lei: gratuitamente, per rispondere alla principale contestazione contenuta nella mia newsletter Hanno tutti ragione, il cui titolo ha preso troppo alla lettera: cioè aver firmato la modifica del trattato del Mes da presidente del Consiglio e aver votato contro la ratifica da parlamentare dell’opposizione. Tutti ricordano il suo no all’uso del Mes “sanitario”, che era un’altra cosa ancora, completamente diversa sia dalla firma che dalla ratifica del Mes appena bocciato in Parlamento, anche se capisco che la sua confusione sia anche quella di molti elettori. Rimarcavo dunque quanto grottesco sia stato per molti vederla sgolare in aula contro Meloni e il governo e poi votare esattamente come loro e, anzi, sollecitandoli a essere più sovranisti. Meloni non si sarebbe dimessa se il Mes fosse stato ratificato con i voti dell’opposizione? Penso abbia ragione, anche se i numeri per mandare sotto il governo in aula c’erano eccome: rifaccia bene i conti.
Sa che persino i suoi argomenti sono presi dal repertorio di Meloni? “Gauche caviar” è un cavallo di battaglia della presidente e in genere dei polemisti della destra italiana. Non capisco su cosa si basi, ma almeno testimonia una familiarità con il francese che non le facevo il giorno in cui in tv si rifiutò di dire chi avrebbe votato in Francia tra Macron e Marine Le Pen. Su una cosa le do ragione: la mia personalissima e ininfluente opinione è che lei c’entri con la sinistra quanto io con i salotti.

Stefano Cappellini