Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti

(FLAVIA PERINA – lastampa.it) – Giancarlo Giorgetti sulla carta è il più potente dei ministri, quello che gestisce i conti dello Stato, crocevia di ogni nomina che conta e di ogni minuta spesa, dagli investimenti più enormi agli spicci destinati alle bande di paese. Sulla carta, perché – come scopriamo oggi – non è stato in grado di vincere e nemmeno di combattere la partita del Mes, sulla quale aveva idee diverse e aveva lavorato a differenti intese. Le sue dichiarazioni nel day after della bocciatura sbalordiscono.

La mia intenzione, dice, era approvare il nuovo trattato, non solo per l’impegno preso con i colleghi europei ma anche «per motivazioni economiche e finanziarie»: insomma, perché conveniva al Paese. E tuttavia, spiega, da qualche giorno aveva capito che «non era aria di approvazione» e dunque gli è toccato adeguarsi e pagare un’altra volta lo scotto personale e politico di una plateale sconfessione. Non farebbe neanche conto parlarne – è già capitato in passato, capiterà in futuro – se la solitudine assoluta di Giorgetti non riassumesse lo stato di assoluta irrilevanza delle aree più ragionanti e meno politiciste della maggioranza, comprese quelle che in teoria avrebbero i numeri, il ruolo e la forza per farsi sentire.

Forza Italia, che con i suoi parlamentari sostiene in modo determinante il governo, si è acconciata a una triste astensione. I mondi pragmatici della Lega veneta e lombarda, referenti delle imprese che fanno affari con l’Europa e temono ripercussioni, hanno chinato la testa alle decisioni arrivate dall’alto. Persino Fratelli d’Italia, dove la parola della premier è legge, sembra scombussolata e ha evitato la consueta batteria di dichiarazioni che accompagna le scelte trend-topic del governo: segno che anche lì l’entusiasmo non è alle stelle.

La bandiera bianca di Giorgetti, insomma, marca la resa di chi confidava in una progressiva normalizzazione del sovranismo italiano e ci aveva lavorato. Sono stati sconfitti, e non si sa bene da cosa. «Un’aria» dice il ministro. Cioè una categoria impalpabile, che non è un ragionamento né una linea politica ma un vento, quindi una specie di fenomeno naturale su cui nessuno può incidere. E dunque è inutile che gli avversari si scaldino, enfatizzino la figuraccia, chiedano al ministro con che faccia si ripresenterà a Bruxelles, chi si fiderà mai più delle sue assicurazioni. È stato lo scirocco a girare le vele, amen.

Scopriremo presto le conseguenze del giro di brezza sul Paese, sia sotto il profilo della credibilità (mai nella nostra storia era successo che un trattato già approvato dal governo non fosse ratificato) sia nelle contrattazioni di ogni natura in corso con l’Unione. È invece già evidente l’aspettativa dei leader che hanno determinato la strambata e dei molti che si sono sottomessi alle loro improvvise decisioni: un due o tre per cento in più di voti alle prossime europee, tre o quattro euro-deputati strappati agli altri in nome dell’estremismo e dei pugni sul tavolo, una sorridente comparsata nei tg la notte degli exit poll. È questa la possibilità che ha isolato Giorgetti, zittito i potenti governatori leghisti del Nord, mortificato le sparse truppe di Forza Italia e tutti coloro che non hanno neanche provato a battersi contro una decisione priva di ogni convenienza e logica.

Ma siamo sicuri che il vento soffi in quella direzione? Al momento il revanchismo euroscettico delle destre non solo non ha portato risultati positivi per l’Italia (la riforma del patto di stabilità insegna) ma neanche sommovimenti nei sondaggi. I numeri restano fermi, anzi segnalano qualche ribasso. Forse non è scirocco ma maestrale, vai a vedere…