(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Quando metto nel carrello un pandoro con la faccia di Chiara Ferragni che costa quasi il triplo di un altro pandoro della stessa marca perché ho letto sulla confezione che servirà a finanziare la cura di malattie infantili rarissime, sarò legittimamente indotto a pensare che la differenza di prezzo tra il dolce ferragnizzato e quello non ferragnizzato verrà interamente devoluta all’opera meritoria di cui sopra.

Se una parte di quel sovrapprezzo servisse a pagare la testimonial famosa (si parla di un milione di euro), allora sulla scatola andrebbe specificato che la devoluzione in beneficenza sarà soltanto parziale e che comunque non sarà fatta da lei, a meno che la Ferragni abbia concesso uno sconto sul suo cachet abituale e che tale sconto costituisca il suo contributo alla causa.

Ma secondo l’Antitrust, intervenuta sul caso sollevato da Selvaggia Lucarelli, le cose sarebbero andate ancora diversamente: i soldi (50 mila euro) vennero donati dall’azienda dolciaria Balocco all’ospedale Regina Margherita di Torino addirittura prima della messa in commercio del pandoro griffato. La faccenda si trascina dietro multe pesantissime e avrà inevitabili strascichi legali, ma una cosa è certa: come ogni attività basata sulla fiducia, la beneficenza non può essere comunicata in modo ambiguo. Altrimenti si incorre nel sospetto che non rappresenti il fine per cui si vende un determinato prodotto, ma il mezzo per convincere i consumatori a comprarlo.