Non è solo un’operazione interna in vista delle elezioni presidenziali. Né il tentativo di riportare sotto la propria sovranità un territorio pari a mezza Italia e ricco di petrolio. È anche una chiave di lettura della strategia antiamericana della Russia

(di Lucio Caracciolo – repubblica.it) – In altri tempi il tentativo del Venezuela di annettersi un corposo pezzo della vicina Guyana, ricchissimo di materie prime fra cui oro, petrolio e gas, sarebbe stato classificato esotismo di interesse locale. Oggi la prospettiva cambia. Siamo nella Guerra Grande, competizione globale di potenza fra Stati Uniti, Cina e Russia. Di questa partita non sono protagonisti solo i primattori della scena geopolitica mondiale, ma anche diversi soggetti del cosiddetto Sud Globale, alla ricerca di un posto al sole. Fra questi, il Venezuela di Maduro.

Il referendum appena stravinto dal regime consente a Caracas di legittimare le antiche pretese venezuelane sull’Esequiba, sostenute da gran parte della popolazione. Non solo un’operazione interna, per mobilitare i venezuelani intorno al presidente su una causa nazionale molto sentita, in vista delle elezioni presidenziali del prossimo anno, che Maduro rischia di perdere a favore di Maria Corina Machado.

Né è solamente il tentativo del presidente di riportare sotto sovranità venezuelana un territorio pari a mezza Italia dove Exxon Mobil e partner hanno scoperto formidabili riserve di petrolio, tanto da fare della Guyana una delle economie più in crescita al mondo (+22,5% quest’anno, dopo il +57,8% del 2022).

È anche una chiave di lettura della strategia antiamericana della Russia e della sua difficile compatibilità con quella cinese. Non ci sono prove di un intervento diretto russo nell’operazione Esequiba, ma è sicuro che al Cremlino non dispiaccia affatto.

Maduro è considerato da Putin uno dei suoi più sicuri alleati. Il Venezuela d’ispirazione chavista ha sostenuto da subito l’invasione russa dell’Ucraina e malgrado i recenti segnali di dialogo con Washington resta uno dei campioni dell’antioccidentalismo sudamericano. Soprattutto, visto da Mosca è uno dei perni della strategia di aggiramento da Sud dell’Occidente a guida americana. Progetto di lunga lena, maturato dopo che nel 2007 Putin ha rinunciato a ogni illusione di poter essere ammesso da pari “nell’ordine basato sulle regole”, ovvero nel mondo a misura occidentale.

L’idea russa consiste da allora nel proporsi sulla scena di quello che una volta chiamavamo Terzo Mondo — oggi Sud globale — come difensore dei Paesi emergenti contro l’Occidente “neocolonialista e oppressore”. Mentre la Nato si espandeva in Europa verso Est e verso Nord e si diramava verso l’Asia orientale grazie alle intese americane con Giappone e Corea del Sud, la Russia si esibiva in una manovra a tenaglia in direzione Sud.

Dall’intervento in Siria (2015) in avanti questa strategia si dipana con successo in Medio Oriente, Africa e Sudamerica. Non solo Wagner e forniture di armi. È interessante la miscela ideologica che informa tale operazione, incrocio di due vettori teoricamente incompatibili: riscoperta dell’anticolonialismo di marca sovietico-comunista ed esibizione del tradizionalismo più estremo, basato sul trittico Dio-patria-famiglia. La ricetta sembra funzionare. Anche in America Latina.

Approccio ben differente da quello di Pechino. I cinesi, da buoni mercanti, mettono gli affari in primo piano. Nel caso, la partecipazione al consorzio petrolifero costruito intorno a Exxon, che lavora a pieno regime nei giacimenti dell’Esequiba. Ennesima conferma che la strana coppia sino-russa è tutt’altro che concorde, salvo sulla volontà di manipolarsi reciprocamente per mettere sotto pressione l’America in crisi.

Il fantasma di un Grande Venezuela, dipinto come primo passo verso la rinascita della Grande Colombia bolivariana, inquieta perciò non solo il vicino Brasile ma soprattutto gli Stati Uniti.

Washington ha da sempre considerato la Guyana anglofona un punto d’appoggio privilegiato nel Sudamerica. Alla vigilia del referendum ha inviato una missione speciale a Georgetown per offrire garanzie di supporto in caso di guerra. Ipotesi improbabile. Ma anche la spedizione argentina alle Falkland/Malvinas sembrava irrealistica prima che la giunta militare la scatenasse.