(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Apoche ore di distanza dalla scoperta del cadavere di Giulia Cecchettin e dalla cattura del suo assassino, la deputata leghista Simonetta Matone ha sentito il bisogno irrefrenabile di dire in tv che, sulla base della sua esperienza di magistrata, gli autori dei femminicidi sono «tutti figli di madri non normali» (nel senso, ha spiegato, di rassegnate a subire soprusi e talvolta persino a giustificarli), con ciò ributtando nella metà campo delle donne il pallone delle responsabilità. Nel frattempo, un altro politico di quell’area, il consigliere veneto Valdegamberi, non trovava di meglio che attaccare la sorella della vittima, dandole della «satanista» per via di una felpa da lei indossata, poi risultata essere quella di un’innocua rivista di skateboard.

Non nutrendo certezze altrettanto assolute, mi guardo bene dall’entrare in polemica con loro. Arrivo persino a capirne la funzione di portavoce istituzionali di certi umori presenti nella pancia del Paese che una volta avremmo definito indicibili, mentre adesso gorgogliano dentro la cloaca a cielo aperto dei social. Propongo soltanto un accordo sui tempi: astenersi da commenti provocatori o, come nel caso del versaccio satanico, addirittura indecenti, per le 72 ore successive al delitto rappresenterebbe già un piccolo salto evolutivo. Ma forse, nell’era della comunicazione istantanea, 72 ore di sensibilità sono considerate un po’ troppe. Mi accontenterei di 48. Che dite, ce la si può fare?