Entro il 2030 tutti gli edifici residenziali del continente dovranno raggiungere la classe energetica E. In Italia, 9 su 12 milioni di abitazioni non rispettano i nuovi standard. Le ristrutturazioni costeranno miliardi. E ora ogni Stato dovrà decidere chi sarà a pagare

(Andrea Valdambrini – tpi.it) – Per il momento abbiamo soltanto una certezza: prima di Natale sapremo tutti i dettagli. Per il resto, rimangono aperti diversi punti chiave: entro quando i nostri palazzi e i nostri appartamenti dovranno essere efficientati? A chi toccherà per forza fare i lavori? Ma soprattutto, chi pagherà il costo delle ristrutturazioni? La legge europea sulla “casa green” – o più precisamente “Energy performance of buildings directive” (Epbd) – è in dirittura d’arrivo, dopo aver attraversato una lunga fase di definizione tecnica ed aver visto un’accesa contrapposizione politica. Di cui il governo Meloni è stato protagonista, quando lo ha definito un provvedimento che “danneggia l’Italia”.
Gli interventi necessari
Lo scorso 14 marzo, il Parlamento europeo aveva votato a favore della proposta avanzata dalla Commissione Ue sulle prestazioni energetiche nell’edilizia. Attraverso l’efficientamento e il rinnovo degli edifici nei 27 Paesi, l’obiettivo è quello di arrivare alla riduzione sostanziale delle emissioni di gas serra e del consumo energetico nel settore delle costruzioni per la fine di questo decennio, come previsto dal pacchetto per la transizione green Fit for 55 e dal Green deal europeo che punta alla neutralità climatica. Entro il 2050. Perché l’edilizia? La Commissione parte dai dati che stimano gli edifici responsabili del 40% del consumo energetico e del 36% di emissioni di gas serra. Ovvero, più di un terzo del totale.
Il primo obiettivo di riduzione delle emissioni comporta che tutti gli edifici di nuova costruzione dovranno essere a emissioni zero a partire dal 2028, due anni prima se si tratta di stabili di proprietà pubblica. Per quanto riguarda invece le abitazioni private già esistenti, la data è quella del 2030. Ed è questo che riguarda – o forse preoccupa – la maggior parte degli inquilini e dei proprietari di casa. L’efficienza energetica può essere calcolata su una scala che va dal minimo di G al massimo di A. La legge europea prevede che gli edifici residenziali raggiungano entro il 2030 la classe energetica E, e al massimo tre anni dopo il livello D. Come? Attraverso ristrutturazioni. Con quali tipi di intervento? Ad esempio, la sostituzione di vecchi pannelli con quelli termoisolanti, la protezione del cappotto termico, l’installazione di caldaie di nuova generazione (non più a gas, né tantomeno a carbone) ed eventualmente anche di pannelli solari.
Costi elevati
Rispetto alla mole e relativa rapidità dei lavori richiesti per l’efficientamento del patrimonio immobiliare, l’Italia ha un doppio problema. Il primo è quello dell’alta patrimonializzazione (73,7% contro 64,7% della Francia e 49,1% della Germania – stime Eurostat), ma potrebbe non essere il più grave. Il maggiore è quello dello stato di efficienza energetica dei suoi edifici. L’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) stima che su 12 milioni di immobili ad uso residenziale, circa 9 al momento non rispettano gli standard energetici che verranno richiesti dall’Ue. Un dato che collima perfettamente con quello fornito dall’Enea, secondo cui la maggior parte degli immobili si collocano tra le classi E, F o G, ovvero le più inquinanti. Emerge così che più o meno due terzi dei nostri appartamenti avrebbero bisogno di essere ristrutturati. E anche in tempi piuttosto rapidi.
È vero che la direttiva “casa green” prevede una serie di esenzioni. Dall’efficientamento energetico sono esclusi, oltre ai monumenti, ai luoghi di culto, anche gli edifici utilizzati temporaneamente (ad esempio le seconde case) e le abitazioni indipendenti con superficie inferiore ai 50 metri quadri.
Resta però il problema più grande e più sentito, ovvero: chi paga le spese delle ristrutturazioni? Il provvedimento si limita a fornire indicazioni generiche: si potrebbero usare Pnrr, fondi strutturali o nuove risorse ad hoc. La decisione di come finanziare spetterà comunque ai singoli Stati, che potrebbero anche decidere in favore dei crediti d’imposta, come già accaduto con il pur controverso superbonus. Quanto alla provenienza dei soldi, «è necessario che si arrivi a un fondo di gestione targato Ue», è convinta Tiziana Beghin, eurodeputata M5S. «Altrimenti questo, come altri ambiziosi obiettivi della transizione ecologica, saranno impossibili da raggiungere», chiarisce a TPI.
I prossimi passi
Provenienza, entità e modalità dei fondi saranno un rompicapo per quando “casa green” diventerà legge. Ma il vero punto su cui i critici della direttiva – segnatamente i deputati italiani del centrodestra – hanno margine per intervenire è quello delle scadenze temporali.
Al momento, rimangono da definire su una serie di dettagli non di poco conto. Dopo la prima approvazione la scorsa primavera, l’iter legislativo è proseguito con diversi incontri tra Consiglio – in cui siedono i ministri dei governi dei 27 Paesi Ue – e Parlamento, con la mediazione dalla Commissione. Questi triloghi formali si sono tenuti il 6 giugno, il 31 agosto e poi il 12 ottobre in forma “aperta”, che dovrebbe arrivare ad un accordo nella data prevista del 7 dicembre, dopo varie riunioni tecniche nel mese di novembre.
La modifica più rilevante sulla quale in sede di negoziato si è creata convergenza sembrerebbe essere quella per cui i singoli Paesi elaboreranno un piano per la riduzione dei consumi energetici prendendo in considerazione il totale degli edilizi residenziali, e non già i singoli edifici. Più tempo, più flessibilità per adeguarsi: meno potere a Bruxelles e più a Roma, in sostanza. «Siamo riusciti a far passare il principio che il valore della casa, frutto spesso dei sacrifici e del lavoro di una vita intera, non può essere ridotto a carta straccia per raggiungere obiettivi di tutela ambientale fuori dalla realtà», esulta l’eurodeputata leghista Isabella Tovaglieri, relatrice ombra del provvedimento. «Ciascuno Stato sarà libero di scegliere le misure più adatte al proprio contesto per ridurre il consumo energetico degli immobili da qui al 2050».
La transizione s’ha da fare
Ignazio Corrao, europarlamentare indipendente del gruppo dei Verdi europei, punta invece il dito sull’esenzione di troppi edifici, comprese le seconde case poco utilizzate, che rischia di minare gli sforzi per ridurre sprechi, costi energetici ed emissioni di gas serra. Per il resto, la sua visione è molto diversa rispetto a quella dell’esponente leghiste: «La transizione verso edifici a zero emissioni è una sfida cruciale e dobbiamo agire con determinazione per salvaguardare il nostro patrimonio edilizio e raggiungere gli obiettivi ambientali», ci dice.
Ambientalista ed esponente del gruppo dei Verdi è anche il relatore della direttiva “casa green” per il Parlamento europeo, il deputato irlandese Ciarán Cuffe, che ne ha fin dall’inizio sottolineato l’importanza dell’autonomia energetica per abbassare le bollette a favore dei cittadini. Per lui il provvedimento, «tagliando le emissioni, garantirà migliori ambienti interni per la salute delle persone». Perché per quanto pragmatismo potrà temperare l’iniziale slancio di questa legge, il problema dell’efficienza energetica del patrimonio immobiliare non potrà essere eluso. Anche in Italia.
La classe E è troppo poco, se metto le mani su una casa bisogna arrivare almeno alla classe B. Chi paga? Basta fare una legge che impone alle banche di finanziare gli interventi che si ripagano da soli in meno di 10 anni con la conseguente riduzione della bolletta energetica la cui differenza va data alle banche che hanno anticipato il costo dei lavori.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Articolo molto interessante.
L’autore tocca alcuni punti sensibili, su cui però l’approfondimento, dato lo stato di avanzamento della normativa, risulta difficile.
Cerchiamo di fare un esame su delle ipotesi; ricordandoci di essere in Italia.
Migliorare l’efficienza energetica delle abitazioni è sul piano ambientale un enorme vantaggio, il risparmio energetico è indubbio.
Circa il risparmio finanziario che ne deriverebbe ho seri bubbi; le compagnie che vendono elettricità e gas potrebbero aumentare le tariffe vanificandolo.
Costituiscono una lobby molto potente ed oltretutto parte del conto della bolletta è costituito da tasse.
Un calo dei consumi si tradurrebbe quindi in un calo del gettito per l’erario; la politica quindi avrebbe un interesse in più a favorire tale lobby visto lo stato di finanza pubblica nazionale.
Per far fronte a tale situazione il governo dovrebbe potenziare le competenze ed il potere sanzionatorio della nostra Autorità per l’energia ( ARERA).
Il lascito del (S)governo Renzi va invece nella direzione opposta ed il governo pro tempore non vi pone rimedio; ancora una volta ci troviamo nel momento sbagliato ed impreparati.
L’altro aspetto molto importante è il fattore tempo.
Tempi molto serrati fanno inevitabilemnte crescere la domanda o meglio le richieste di adeguamento energetico in modo molto rapido.
Ciò comporta un aumento non trascurabile dei costi dei materiali e della manodopera.
I tempi contingentati poi hanno un altro effetto collaterale; il fare pur che si faccia ha in se il grosso rischio di realizzare cose mal fatte; scarsa qualità dei materiali e scarsa qualifica della manodopera impiegata.
Vanificando in tal modo quella che è la ratio legis; ovvero ridurre consumi energetici e con essi le emissioni inquinanti ed il risparmio finanziario.
Per quel che riguarda i costi da sostenere, la situazione è diffcile sia per la dispersione del patrimonio immobiliare in Italia, come citato nell’articolo, sia perchè è in atto un impoverimento generalizzato e diffuso e con un quadro attuale che non lascia prevedere possibilità di miglioramento della situazione socio economica nazionale nel breve-medio termine.
Affidare ai singoli governi nazionali le politiche per promuovere l’efficientamento energetico ha in Italia il grosso problema di avere uno stato con una capacità fiscale molto bassa.
Servirebbe fare una seria lotta all’evasione; ma non si intravede niente al riguardo.
Quanto al fondo di gestione UE; chi ci mette i soldi in quel fondo?
L’Italia è il terzo contribuente europeo quindi ritorniamo al punto di cui sopra; bassa capacità fiscale.
Secondo: chi ti da i soldi vuol vederci chiaro in quello che stai facendo coi suoi soldi e non mi pare che l’Italia abbia un’ottima reputazione da questo punto di vista; la trasparenza della nostra PA non è un ottimo esempio.
I dissesti idreogeolgici dovuti anche al laissez faire delle amministrazioni comunali, la gestione che si sta facendo dei fondi PNRR, l’abusivismo e le sanatorie edilizie, il consumo del suolo per fare cassa sono degli ottimi indicatori di quanto e come l’immagine nazionale sia, in quest’ambito e non solo, degradata.
"Mi piace"Piace a 3 people