
(MONTESQUIEU – lastampa.it) – Occultato dai missili che incendiano il mondo, il governo Meloni lancia sottotraccia il suo piccolo dardo, cui affida il compito di traghettarci in una ignota terza Repubblica. Il proposito di scavalcare la nostra Costituzione da parte delle forze di governo – che per la nostra Carta, prese una per una e poi tutte assieme, non hanno mai straveduto – batte dal giorno della fiducia tutte le strade esistenti, e quelle ancor più numerose che l’immaginazione può escogitare. Una sola fissazione, muove dai radar di palazzo Chigi: la futuribile guida del governo deve essere scelta direttamente dagli elettori, con annesso, meccanico prosciugamento del ruolo del capo dello Stato, eletto dalle Camere. Un garante sopra il capo rischia di rovinare l’ebbrezza del potere.
Fin qui, nulla di minimamente eversivo o sconveniente, visto che è la Costituzione stessa a indicare modi e tempi del proprio cambiamento. Fatta salva, per semplice buon senso, la precauzione minima: quella che impone al chirurgo di accertare, prima di affondare il bisturi, lo stato di salute del paziente. Non è in discussione il titolo giuridico dell’operatore; quanto all’attitudine, da desumersi magari dalle trascorse relazioni con la nostra legge fondamentale, ogni perplessità finisce per avere la fondatezza di un processo alle intenzioni. Soffermarsi, questo sì, sulle condizioni del paziente, non limitandosi alle sembianze, che attestano un buono stato di salute della nostra Costituzione. Un testo integro, forse per la declinante attività. Una trentina d’anni fa, quando irruppe prepotente il tema del conflitto di interessi, quel testo fu riposto dai nuovi vincitori in una teca (per gli studenti, per il pubblico), e sostituito per l’uso quotidiano da una specie di copia. Da lì, il Governo assumeva per sé le veci delle camere, funzione per funzione, quella legislativa in testa. La copia, in questi casi, è chiamata costituzione materiale, ed è normale che esista, purché in un rapporto di compatibilità con quella vera: non una controcostituzione. Difficile immaginare, alla proposta di verificare l’attuale grado di separazione di poteri tra il parlamento e il governo (la salute, per le istituzioni), un rifiuto pregiudiziale da parte di qualche forza politica: equivarrebbe al rifiuto di quel chirurgo di cui sopra. Ma purtroppo è difficile invece immaginare il contrario. Ha smesso di sorprendere che nemmeno il partito democratico, le lunghe radici aggrappate alla Costituzione, abbia mai eccepito l’irritualità di un procedimento legislativo avulso dall’articolo 72 della Costituzione. Nemmeno nella versione estrema, quella dell’appropriazione integrale da parte del governo della procedura di approvazione delle leggi: attraverso il possibile blocco di ogni attività di organi parlamentari, con la decisione discrezionale dell’esecutivo di prendere le redini del procedimento, con un proprio testo sul quale alle assemblee parlamentari si consente solo un sì, un inchino, alla fiducia al governo. Nessun voto di merito è in quel procedimento consentito alle Camere, nessun diritto dei parlamentari sopravvive alla posizione della fiducia. Questo è l’unico caso di totale espulsione delle camere e dei parlamentari dal procedimento legislativo come disegnato in Costituzione (art. 72, che prescrive l’esame dei testi articolo per articolo, incompatibile con la presentazione di testi di un solo articolo, i mitici maxiemendamenti), e ha può aggredire qualunque legge ordinaria. Persino elettorale.
Espropriazione totale non è, infatti, la compressione esasperata dei tempi della seconda camera nell’esame di progetti di legge a scadenza costituzionale, decreti legge e leggi di bilancio: in questi, il procedimento conserva alle camere la funzione, liofilizzandola al massimo, ma non potendo prescinderne. Piace a molti costituzionalisti e parlamentari enfatizzare queste ipotesi, coniando definizioni come “monocameralismo alternato”, o altro, e collegando ad esse l’esproprio governativo delle funzione delle Camere. In questo caso, si lasci definire con il termine di “acameralismo”, il procedimento che diventa legge grazie ad un maxiemendamento del governo.
La decisione di una preventiva valutazione dello stato di attuazione dei principi costituzionali, può essere almeno sollecitata dai gruppi parlamentari, dai partiti, con inoppugnabili argomenti. Soprattutto, dai partiti o residui di partiti nati e vissuti nel rispetto della Costituzione nei primi quarant’anni di Italia democratica. La responsabilità di rinunziarvi non sarebbe peraltro una grigia novità, per chi ha memoria della condotta del partito democratico sul tema della riduzione di taglia delle Camere. Da oggi in poi, la posta in palio è assai maggiore, tocca la qualità della democrazia.
Ma tornare a zappare invece ? Che articolo astruso frutto di una mente confusa
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