(di Massimo Gramellini – corriere.it) – In un mondo dilaniato dalle guerre vere, uno guarda il video dei medici di Napoli con il giubbotto antiproiettile sopra il camice e pensa «come ci siamo ridotti». Poi però riflette sulle condizioni in cui versano gli ospedali e continua a pensare «come ci siamo ridotti», ma in un altro senso. Perché c’è solo una cosa che mette più tristezza di un travestimento eccentrico ed è l’essere costretti a farlo per attirare l’attenzione sul primo diritto che dovrebbe essere garantito a tutti: quello di lavorare senza rischiare la pelle.

L’ultimo episodio è stato il pestaggio di una geriatra da parte della figlia di una paziente, ma ormai non passa giorno senza che in qualche città italiana i medici e gli infermieri siano vittime di insulti e aggressioni, come la chirurga costretta a operare una donna sotto la minaccia del marito pistolero. O come la tizia che al pronto soccorso di Campobasso sostiene di avere urgente bisogno di una Tac alla gamba (che si è prescritta da sola) e irrompe in sala operatoria accompagnata da due sgherri per terrorizzare il dottore che si rifiuta di farle saltare la coda. Lo pensiamo anche ogni volta che viene picchiato un insegnante: il guaio maggiore non è nemmeno che succedano certe cose, ma che non ci indignino più.

Che ci sembri normale questa mancanza di rispetto verso professioni che per millenni sono state circondate da un’autorevolezza quasi sacrale. Quando nessuno vorrà più fare il medico, ci cureremo da soli con i tutorial?