(Massimo Gramellini – corriere.it) – Risparmiamoci le tiritere sulla violenza degli ultrà che non c’entra niente col calcio. Il calcio mette insieme in spazi ristretti migliaia di persone che rappresentano territori e tribù contrapposte: con queste premesse, scriveva Gianni Brera, è un autentico miracolo che non si contino decine di morti ogni domenica. Fino a ieri ignoravo che lionesi e marsigliesi si odiassero con tanta ferocia. Visti dall’Italia sono egualmente francesi, ma forse anche un francese stenterà a capire perché i romanisti si azzuffino coi napoletani.

Da lontano le differenze rimpiccioliscono, mentre il tifo basato sul campanile è nato proprio per esasperarle. L’altra sera alcuni abitanti di Marsiglia sono usciti di casa, magari dopo avere visto quel che stava succedendo in Medio Oriente, e, invece di benedire la sorte che li aveva fatti nascere in una parte di mondo relativamente tranquilla, hanno scagliato sassi contro il pullman della squadra «nemica». A farne le spese è stato un neutrale (ma per loro sarà un mercenario), l’allenatore del Lione Fabio Grosso, eroe sottostimato del Mondiale 2006 perché fu lui a procurarsi il rigore che ci permise di accedere ai quarti, lui a spennellare il gran gol che sbloccò la semifinale e sempre lui a mettere in rete l’ultimo pallone della finale che ci consacrò campioni. La sua faccia insanguinata è il manifesto della precarietà umana: basta un attimo e si finisce vittime di un troglodita che i suoi simili, oltretutto, celebreranno come un eroe.