
(Giuseppe Di Maio) – Essere rivoluzionari significa non aver timore di affidarsi alle deliberazioni della ragione, e non aver paura di cancellare il passato. Più che per la destituzione del re, il popolo francese del 1789 impallidì per la distruzione delle regioni storiche della Francia, alcune di esse più antiche della stessa monarchia. Con un segno deciso furono cancellate Turenna, Borgogna e Poitou, e al loro posto istituiti 83 dipartimenti saltati fuori dalla penna di Jean-Dominique Cassini. Quei rivoluzionari non avevano niente da perdere, scalzi e disperati batterono il primo esercito coalizzato contro di loro, e dopo tanti sogni e congetture cominciarono a disegnare un mondo nuovo, tutto daccapo, fino al nome dei mesi sul calendario.
Qualche decennio fa, in Europa e nel Nord America, dopo un periodo di discreta floridezza in cui la classe operaia aveva beneficiato del divario tecnologico tra l’Occidente e il resto del pianeta, il capitalismo decise di aprire alla concorrenza della finanza, dei prodotti, e della manodopera stranieri. Il vento della precarietà spazzò via le conquiste degli anni 60/70, i welfare faticosamente strappati alle classi abbienti, e tornarono in piazza i movimenti radicali. A causa delle mutazioni intervenute nelle dirigenze della sinistra occidentale, si fecero insistenti le organizzazioni no-global che acquistarono però dei caratteri sconosciuti a quelle operaie tradizionali. In effetti chi era per strada a protestare voleva difendere il proprio posto di lavoro, il benessere a cui era abituato, il tradizionale corredo di diritti entro cui aveva concepito la propria esistenza, era cioè diventato conservatore.
Tutta questa incertezza divenne nuova benzina per le destre di tutto il mondo che corsero immediatamente a difendere le patrie violate dalla finanza internazionale. Ma anche le sinistre, sulle quali già gravava il fardello del tradimento politico, furono contaminate. Anche su di esse calarono il peso del mercato globale e l’invasione dei prodotti esotici e globalizzati, sicché l’avversione al Capitale e all’omologazione totale fu confusa con la difesa del territorio e della tradizione, e si mescolò localismo e resistenza anticapitalista. Come ci insegnano i Diego Fusaro dell’Occidente (il cui animo conservatore li rende incapaci di prefigurare un mondo nuovo e senza frontiere), la difesa delle identità regionali opposte al sovrannazionalismo capitalista ha natura rivoluzionaria. Purtroppo questa difesa rischia di confondersi col vangelo delle destre e con il loro cieco amore per il passato: per il presepe e l’albero, per le grigliate di polenta e costine, o per la pasta e fagioli, che poi, come cantava Dean Martin, è già that’s amore.
Ha! ha! haI
Diego Fusaro……….. ha! ha! ha!
iiiih!,
ha! ha! ha!
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