
(Tommaso Cerno – lidentita.it) – Messico e Ursule. Non serviva andare fino in Messico per vedere i due alieni. Ce li abbiamo in mezzo a noi, e si chiamano Ursula von der Leyen e Christine Lagarde. La leader di questa Europa lontana anni luce dalla realtà. E la presidente della Bce al decimo aumento consecutivo dei tassi. Le immagini di Lampedusa non sono quelle di un fallimento, ma la prima scena di un processo appena cominciato. La nascita di un’area globale di nome Eurafrica su cui l’Unione non ha più alcuna influenza né peso. Un’area che dividerà in due il continente. Fra chi porta addosso l’effetto dirompente di questa piaga del nostro tempo, le migrazioni verso Paesi che non sono in grado di assorbirle né di trasformarle in fenomeni virtuosi, come l’Italia. E chi da Bruxelles ordina riforme, rivoluzioni ecologiche, strette bancarie senza dirci con che diamine di soldi le pagheremo.
E così, preso atto di questo, si apre una fase inedita. L’Unione si muove in ordine sparso e ognuno fa i conti in casa propria. Proprio come di fronte a una calamità. Questi conti ci dicono ancora una volta che l’Europa c’è solo quando deve chiedere mentre non esiste se non nei comunicati stampa quando deve assumersi delle responsabilità. Il conto si presenta tutto insieme. La Bce alza i tassi di un altro 0,25. Nel suo mondo parallelo. Una stangata che si rivolge a milioni di famiglie in difficoltà del mondo reale. Quello stesso mondo reale che ha perso il controllo non solo di chi arriva da noi, ma pure di chi già era arrivato prima, aprendo una guerra fra poveri che torna a riempire le cronache italiane di violenza e di casi deliranti come quello di Brescia, il marito musulmano che picchia la moglie e il giudice che chiede di assolverlo per motivi culturali, che ci mostrano come la strada intrapresa sia fallita e produca l’effetto paradosso proprio su quella democrazia dell’accoglienza che aveva proclamato i valori di uguaglianza e di libertà per ottenere l’effetto opposto, ovvero una comunità multietnica unita, e non certo questo pasticcio fuori controllo.
E mentre Berlino e Parigi, capita la situazione, provano a fuggire dalle proprie responsabilità succede anche che Ursula von der Leyen si rivolga all’Unione non per dirci che il gap fra ciò che si era immaginato do fare e la realtà si è allargato, ma per proporsi come successore di sé stesso. Cooptando Mario Draghi, fra l’altro, a dimostrare che se serve l’ex premier italiano per rimettere in ordine le politiche di produttività dell’Europa significa che in questi quasi cinque anni lei è la sua commissione non hanno raggiunto gli obiettivi che oggi vorrebbero, un dato di fatto che sulla Terra porterebbe con sé la necessità di un cambiamento e non di una occupazione del vapore europeo.
Ma come abbiamo detto qui non siamo più sulla Terra, siamo su Marte. E su Marte capita anche di dare la colpa alla Tunisia o a chi tenta di coinvolgere il Nord Africa in questa emergenza globale del disastro che siamo riusciti a produrre noi da soli, con la nostra retorica democratica e la nostra sicumera. La stessa che sta dividendo di nuovo il mondo in due. Proprio quando saremmo noi i primi a perderci. E pure parecchio.
Lagarde fa quello che avrebbe fatto anche Draghi al posto suo: se vi è un’inflazione elevata da fare abbassare la banca centrale non può fare altro che alzare i tassi. Tuttavia sappiamo tutti che l’inflazione attuale è il frutto della guerra in Ucraina e delle scelte sciagurate dell’Eu della Van der Layen di tagliare i ponti con la Russia e autoinfliggendoci delle sanzioni mortali in campo energetico. La soluzione del problema inflattivo è esclusivamente politico ed è quindi responsabilità della maggioranza che governa il parlamento europeo e dei governi nazionali. Prossimamente assisteremo ad un molto probabile riinnalzamento dell’inflazione conseguenziale all’aumento dei prodotti energetici e quindi Lagarde non potrà fare nulla.
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L’inflazione esistente si era già manifestata dopo la fine della pandemia; mi ricordo perfettamente che i fornitori di pezzi di ricambio in acciaio davano vaidità alle offerte PER UNA SETTIMANA.
Se non facevi l’ordine entro quel tempo, la quotazione veniva aggiornata al rialzo.
La crisi in Ucraina ha semmai inasprito l’inflazione agendo sulle componenti volatili, cibo ed energia ,
Tutti sanno che la Russia è uno dei principali produttori di idrocarburi, molti meno sanno che è il principale produttore al mondo di fertilizzanti azotati e le sanzioni imposte hanno inciso sui prezzi degli altri prodotti agricoli; il grano fa storia a se per via della guerra ovviamente
L’inflazione, gli economisti concordano su questo punto, è da attribuire non alla domanda in crescita, non ci sono i presupposti, men che meno in Italia; ma ad una inadeguatezza di offerta da parte dell’industria.
Con la fine della pandemia c’è stata un’impennata della domanda di beni ( si trattava in realtà di un ripristino della domanda a livelli pre covid) ed in quel momento in Cina erano ancora in vigore le restrizioni covid e la produzione ancora a livelli bassi ( ricordo che la Cina viene definita la Fabbrica del mondo)
Per cui c’è stata una temporanea penuria di beni e il conseguente aumento dei costi ; le imprese ne hanno approfittato.
Il rialzo dei tassi ha contribuito a raffreddare l’inflazione di fondo, ma non riesce ad abbattere l’infazione volatile per via della guerra.
La chiamano inflazione volatile ( io di volatile vedo i soldi che volano via dal portafogli) però gli elementi che la costituiscono sono bisogni primari per l’essere umano ( pancia piena e riscaldamento, qualche lampadina accesa) ed in quanto tali hanno una curva di domanda piuttosto rigida.
Per cui l’ennesimo innalzamento dei tassi ben poco ha contribuito finora ad abbattere l’inflazione volatile e credo ben poco farà in futuro su questo versante.
L’unico strumento che può funzionare da deterrente è la leva fiscale, ovvero tassare le imprese un pò di più e redistribuire a chi ha realmente bisogno; ma non mi pare sia questa la volontà dei politici EU e Italiani compresi.
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penso esattamente l’opposto…
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rivolto a cesare…
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peccato che il sottovalutato governo spagnolo sia intervenuto a calmierare i prezzi abbassando l’inflazione:
quando si sono accorti che la BCE non riusciva a invertire il trend, ma solo a peggiorare le cose, a partire da giuno 22 sono intervenuti direttamente: risultato? da un’inflazione media del 10% sono ora al 2,5% circa.
Se si vuole si può, il resto sono alibi di azzeccagarbugli
https://www.inflation.eu/it/tassi-di-inflazione/spagna/inflazione-storica/cpi-inflazione-spagna-2022.aspx
https://www.inflation.eu/it/tassi-di-inflazione/spagna/inflazione-storica/cpi-inflazione-spagna-2023.aspx
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Meglio essere cauti nel fare confronti.
La Spagna ha usato le sue risorse fiscali per ridurre l’iva e ad azzerarla per i beni di prima necessità, hanno dato anche un bonus una tantum alle famiglie meno abbienti.
Noi abbiamo usato le risorse per i bonus vari e per il RDC; sono scelte; ognuno fa quelle che ritiene migliori.
Resta il fatto che la Spagna ha un rapporto debilto/PIl migliore del nostro.
I loro titoli di stato, i Bonos, non navigano in buone acque ma non sono nemmeno tenuti artificialmente sopra il livello spazzatura, come i nostri BTP, per evitare guai più seri.
Detta diversamente la Spagna ha una capacità fiscale migliore della nostra a prescindere, questo, da come i due paesi abbiamo deciso di utilizzare le rispettive risorse finanziarie.
In italia le risorse fiscali ci sono, solo che sono sommerse; NESSUNO MAI, NESSUNO ha fatto una lotta seria all’evasione fiscale.
Se si vuole si può
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principali indicatori economici Spagna
https://www.infomercatiesteri.it/indicatori_macroeconomici.php?id_paesi=92#
Italia
https://it.tradingeconomics.com/italy/gdp-growth-annual
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A parte il fatto che per comparare i dati sarebbe opportuno, quando possibile, prenderli dalla stessa fonte.
Trading economics permette di farlo.
Non mi dice niente di nuovo; ho lavorato in Spagna e non per pochi giorni; quindi ho avuto modo di parlare con persone del posto e ho avuto modo di conoscere, sia pur parzialmente, visto che non risiedo in Spagna in modo permanente, quella che è la loro realtà economica e sociale.
Ma quali sono i tuoi commenti, le tue osservazioni?
Ad esempio potresti dirmi che hanno un tasso di disoccupazione più alto del nostro; hanno un saldo di partite correnti negativo, perchè? Come lo spieghi?
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non devo fare un trattato di economia comparata per far notare che i “nostri” quando parlano di Spagna alzano le spalle e si paragonano a Francia e Germania, nazioni “molto simili a noi” (ma de che?), invece una Spagna, ritenuta da “noi” inferiore è riuscita ad abbassare l’inflazione, ad aumentare gli stipendi e diminuire sensibilmente il precariato.
Non basta? noi non ci riusciamo da decenni e non perchè non ci sia la possibilità
P.S.
ho preso fonti ufficiali sui tanti che ci sono
e non dichiarazioni di pinco pallo
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Cominciamo dal PS
Non ho messo in discussione la qualità delle fonti; ho fatto notare che non è pratico mettere a confronto dati da fonti differenti, soprattutto quando c’è la possibilità di poter comparare dati dalla stessa fonte.
Quando ” i nostri ” guardano con sufficienza la Spagna possono anche aver ragione visto che la predetta ha le sue fragilità; dovrebbero però essere intellettualmente onesti da ammettere le nostre che non sono da meno ed in diversi casi pure più gravi; ogni nazione ha i suoi punti di forza e di debolezza.
I paragoni si fanno perchè ci sono delle analogie, questo è innegabile, ma bisogna essere cauti.
A tal proposito faccio un copia incolla di un articolo del Fatto Quotidiano in cui Chiara Brusini spiega con la consueta chiarezza come stanno realmente le cose in Spagna col precariato.
Buona lettura e alla prossima
di Chiara Brusini | 4 MARZO 2023
È in chiaroscuro, a poco più di un anno dal varo definitivo, il bilancio della riforma spagnola del mercato del lavoro mirata a ridurre la precarietà. Se i contratti a termine veri e propri sono crollati, in parallelo è esploso il ricorso a quelli stabili ma “discontinui“, che prevedono periodi di inattività durante i quali si riceve solo la disoccupazione. E hanno raggiunto livelli senza precedenti i licenziamenti di lavoratori con quel tipo di contratto per mancato superamento del periodo di prova. Di fatto, secondo diversi analisti, il precariato ha solo cambiato forma. Dall’analisi dei dati emergono diverse lezioni interessanti anche per il dibattito politico italiano, visto che il governo Meloni si appresta ad affossare il decreto Dignità (già scardinato durante la pandemia) mentre dall’opposizione la neo leader del Pd Elly Schlein predica la necessità di limitare il ricorso ai contratti a tempo determinato “come hanno fatto in Spagna”. Dove come è noto è anche in vigore il salario minimo caro al M5s e sostenuto anche da Schlein: il governo Sanchez lo ha appena elevato a 1080 euro al mese per 14 mensilità.
La riforma e il nuovo anello debole – Il real decreto del dicembre 2021, che ha avuto il via libera del Parlamento con la maggioranza di un solo voto nel febbraio 2022, aveva l’obiettivo dichiarato di abbattere la quota di contratti a termine che aveva raggiunto il 30% del totale. Una necessità concordata con Bruxelles e inserita nel Plan de recuperacion e riforma, il Pnrr spagnolo, per “promuovere una crescita inclusiva e sostenibile dal punto di vista economico e sociale”. Il tempo indeterminato da allora è la forma standard del rapporto di lavoro. Le uniche eccezioni ammesse sono la sostituzione di altri lavoratori e le “circostanze legate alla produzione”, cioè esigenze produttive imprevedibili: in questo secondo caso è possibile assumere a termine per un periodo fino a 6 mesi che sale a un anno se ci sono accordi collettivi di settore. Per i datori di lavoro c’è però la possibilità di ricorrere ai contratti a tempo indeterminato discontinui in caso di lavori stagionali, “altre ipotesi di temporaneità” o prestazioni intermittenti ma con alcuni periodi di esecuzione certa ogni anno. Questi lavoratori maturano l’anzianità di servizio e hanno una corsia preferenziale per la stabilizzazione, ma attraversano fasi di inattività durante le quali vivono con l’indennità di disoccupazione.
“Non è stata la controriforma rispetto a quella del governo Rajoy che alcuni settori politici si aspettavano”, commenta Emanuele Dagnino, ricercatore di Diritto del lavoro all’Università di Modena e Reggio Emilia. “Per esempio la disciplina dei licenziamenti“, che sono liberi a fronte di una piccola indennità di fine rapporto e senza obbligo di reintegro nel caso siano giudicati illegittimi, “non è stata toccata. Il decreto è stato ampiamente dettato dalla Ue e concordato con le parti sociali: alla fine ci si è concentrati sulle restrizioni al tempo determinato e su questo l’inversione di tendenza si vede. Resta da capire se la nuova disciplina stia provocando distorsioni sull’uso del contratto discontinuo o di altre discipline (come quella relativa al periodo di prova), come reazione alle nuove rigidità”.
Gli ultimi dati ufficiali – Lo scorso anno gli occupati sono saliti per la prima volta oltre quota 20 milioni. Gli ultimi dati del Servizio pubblico per l’occupazione (Sepe), che fa capo al ministero del Lavoro, mostrano che a febbraio 2023 la percentuale di occupati con contratto a tempo determinato è scesa al minimo storico del 14%. Su un totale di poco più di 1 milione di contratti registrati nel mese, 493mila (in lieve calo dai 530mila di gennaio) sono stabili: il 45,46% del totale, in aumento del 55% su un anno prima. Ma di che “stabilità” si tratta? I rapporti indeterminati a tempo pieno ammontano a 230mila, mentre 121mila sono part time e 141.305 “a tempo indeterminato discontinui”. In parallelo con l’abolizione dei rapporti “para obra o servicio” (a progetto), e dunque il crollo del precariato “in chiaro”, questi ultimi sono letteralmente esplosi: +250% anno su anno. A gennaio l’aumento tendenziale aveva toccato il +660%. Rimangono poi oltre 591mila, il 54% del totale (ma in continua discesa, -47% anno su anno) i contratti a termine, per la maggior parte giustificati con “circostanze legate alla produzione”.
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