Dalla cimice a casa Bossi di inizi anni ‘90 alle “cose da lupanare” registrate dai servizi. Mentre i leader si mettono in vetrina a fini elettorali

Umberto Bossi

(di Filippo Ceccarelli – repubblica.it) – Di storie cosiddette intime è ovviamente piena la vita pubblica di questo paese baciato dagli intrighi così come dal loro appetitoso disvelamento. Ma al dunque: cosa è più ormai e precisamente l’intimità — Santa Intimità, sconosciuta intimità, maledetta intimità — per quanti vorrebbero vietare l’ingresso di microspie e Trojan addirittura in casa?

Dice l’emendamento: per difendere (finalmente) “la stretta intimità personale”. Mica semplice, però. Una medaglia per chi al giorno d’oggi saprebbe darne un’accorta definizione, cominciando dall’aggettivo “stretta”.

A memoria di attempato cronista e malizioso raccoglitore non risultano precedenti d’intercettazioni strettamente d’alcova utili a identificare o confermare reati; o almeno tali da giustificare una proibizione così risoluta. Nei primissimi anni 90 fu rinvenuta una cimice nel televisore che Umberto Bossi teneva dinanzi al letto nella sua piccola casa romana dalle parti del Pantheon. In quel caso il Senatùr alzò le spalle e disse qualcosa del tipo: avranno sentito me e mia moglie “all’opera”, sembra di ricordare, o “in azione”, le due espressioni si adattavano perfettamente allo stile ribaldo del personaggio e agli slogan che giusto allora viravano verso un conclamato priapismo. Più o meno nello stesso periodo Gennaro Acquaviva, stretto collaboratore di Craxi a Palazzo Chigi, raccontò che sulla scrivania a Palazzo Chigi gli arrivavano spesso “cosa da lupanare”, ma in quel caso ce l’aveva con i servizi segreti che in queste cose, durante la Prima Repubblica, un bel po’ ci sguazzavano suscitando sacro terrore nei democristiani, e nelle loro famiglie (naturali).

A pensar male, diceva Andreotti, si fa peccato ma ci si azzecca: e ancora di più, viene da pensare, qualche settimana dopo un’intensa denuncia di “dossieraggi” spentasi tuttavia di colpo, senza un brivido, senza un palpito, senza nemmeno un bocconcino “a scottadito” come si diceva nelle questure. E allora, sempre che non ci sia qualcosa che sta bollendo nel pentolone delle zozzerie di Palazzo — ché fuori, per i poveri diavoli della cronaca nera, certo non si manifesta tutta questa inquietudine — viene naturale pensare a un provvedimento mega, iper e turbo-garantista che faccia vendetta e renda impossibile la messe di registrazioni sviluppatesi dalle parti del lettone di Putin. Ma nello specifico fu una sua amichetta a premere il tasto play; così come d’altra parte furono sue ulteriori ospiti a violare la privacy del bagno padronale, in verità di stile piuttosto alberghiero, di palazzo Grazioli.

Così, premesso che non sarà un emendamento a ripristinare uno spazio sacro, e che certo è sbagliato confondere le intercettazioni con il GF e i social (quelli buoni e quelli cattivelli), tocca riconoscere che, una volta caduti i confini tra sfera pubblica e privata, il riferimento della politica non è più la “polis”, che sarebbe di tutti, ma l’”oikia”, la casa, che un irresistibile quanto sospetto bisogno di libertà vorrebbe dichiarare inviolabile. La casa e le case, oltretutto, di una classe di potenti che ancora oggi non perde occasione per mettersi in piazza, in mostra e in vetrina dandosi in pasto alle più morbose e ruffiane curiosità per accorciare le distanze con un pubblico sempre più distratto. Sentimenti, ricordi, confessioni, introspezioni, singhiozzi, euforie, sportelli del frigo, porte dell’armadio-guardaroba e del bagno che si spalancano al cospetto dei rotocalchi; presidenti che si fanno la barba, giocano con i cuccioli, si sbaciucchiano con le vecchiette; ministre che rovesciano il contenuto delle loro borsette; gastronomia e selfie after sex, mutande e prostate, addirittura analisi endoscopiche.

Inutile dire che questa vera e propria dittatura dell’intimità risponde a processi di immane potenza che ci hanno resi un popolo di curiosoni, per non dire guardoni e ascoltatori impenitenti. Beninteso: non che tutti debbano perciò essere soddisfatti. Ma diamine, il troppo stroppia e nelle aspettative c’è qualcosa che stride. Anche a casa, nel letto e con lo smartwork, un feroce criminale resta un feroce criminale. Ora e sempre “beati i perplessi”, come scrisse su questo giornale Guido Ceronetti — e quanto ci manca!