Nel Parco Verde tra case popolari, violenza e amianto le famiglie sono strette nella morsa di camorra e povertà: «È un incubo, ma non abbiamo i soldi per andarcene»

Caivano abbandono di Stato

(VALENTINA PETRINI – lastampa.it) – «Mamma mi fa male il culetto, mi disse. Aveva una macchiolina di sangue sulla mutandina. Il cattivo mi ha detto chiudi gli occhi e girati e poi mi ha dato un pizzico sul sedere. Capii subito. Chiamai la pediatra: signora lo porti in ospedale. Da lì è iniziato il nostro calvario».

Parco Verde, Caivano, 9 settembre 2023. Sono passati diciassette anni da questo episodio che C., mamma di due figli, mi racconta. Era il 2006, il piccolo aveva solo quattro anni. «Andava all’asilo, quel giorno mancavano le sue maestre, così unirono due classi. Stavano vedendo un cartone animato, mio figlio era irrequieto, non voleva stare seduto. La maestra chiamò il bidello e gli chiese di portarlo a fare un giro. L’orco in giardino gli abbassò i pantaloni e lo molestò». Le visite in ospedale per fortuna accertarono che non c’era stata penetrazione, ma il bimbo raccontava di questo pizzico, che solo un pizzico in realtà non era. Non c’era altro modo però per un bambino di quattro anni di definirlo. «Per capire se suo figlio ha subito una stimolazione con il dito è necessaria una rettoscopia – mi dissero i medici. – Io mi rifiutai, non volevo causargli un altro trauma. Lui piangeva, io pure». C. sporge comunque denuncia ai carabinieri di Caivano. Il bimbo ha quattro anni. Da quel momento viene interrogato più volte, ripete a tutti sempre la stessa versione: agli inquirenti, agli assistenti sociali, nell’incidente probatorio. «Un giorno esausta arrivai persino a chiedere alle psicologhe e al pubblico ministero che indagava: ma dobbiamo credergli? Non è che ha travisato? Mi risposero: signora sta scherzando? Suo figlio è attendibilissimo noi dobbiamo andare avanti».

Iniziano così quattro anni di cause in Tribunale. Un’intera famiglia devastata, una creatura costretta da subito ad entrare in terapia neuropsichiatrica. Conclusione? «Il fatto non sussiste, ha detto il giudice, perché è la parola di un bambino. E allora le perizie? Le indagini? L’incidente probatorio? Che le abbiamo fatte a fare? Avrei dovuto fare appello ma ho rinunciato». Quell’orco in tutti quegli anni non si è mai spostato da Parco Verde. Subito dopo la denuncia della donna il dirigente scolastico dell’epoca semplicemente lo trasferì dalla materna alle elementari. Libero e indisturbato. Come se dai sei anni in su non fosse più un pericolo. «Viveva nello stesso palazzo delle ragazzine stuprate recentemente – mi sussurra nell’orecchio la donna – E mio figlio non fu l’unico. In quartiere si diceva che anni prima aveva anche stuprato un sedicenne». Ma lei perché è rimasta qui? «Volevo andarmene, avrei dovuto farlo lo so. Sono separata, faccio l’operaia, se lavoro tutti i giorni prendo 800 euro al mese. Non è facile». In quel momento entra in stanza anche il figlio. Quel bimbo molestato che ricorda ancora tutto oggi è diventato uno splendido ventenne. «Non mi sono diplomato – confessa – mancano gli ultimi due anni. E io che volevo fare Giurisprudenza. Ero innamorato della scuola ma sono entrato in conflitto con una docente e non ho retto».

Esco, faccio un giro, prendo aria. A Parco Verde, ora che le telecamere e la premier Giorgia Meloni sono andate via, è tornato il clima di sempre. Quando entro nella sede dell’associazione “Un’infanzia da vivere” fondata da Bruno Mazza, lui è nel suo ufficio con tre carabinieri. Sono venuti a prendere le immagini della telecamera esterna alla sede. Il 7 settembre alle 22,52 tre motorini sono passati lì davanti e hanno iniziato a sparare all’impazzata, si vede che sfrecciano a tutta velocità nelle immagini. Chissà, magari possono essere così identificati. È la solita battaglia per la conquista del territorio, ora che i capi dei clan storici sono in carcere, altri cercando di conquistare la piazza di spaccio. Per qualche giorno la guerra si era interrotta, adesso è tornato tutto come prima. Bruno Mazza è nato e cresciuto a Parco Verde. È stato in carcere, ha perso un fratello per overdose. Poi la conversione. Ora la sua missione è dare una possibilità alle ragazze e ai ragazzi di questo quartiere che come lui crescono spesso senza affetto, costretti a diventare adulti subito, anche a nove e dieci anni. La Fondazione “Con il Sud” in collaborazione con l’associazione di Bruno e con diverse altre realtà del territorio ci prova da anni a riqualificare il quartiere e creare occasioni di aggregazione attraverso lo sport. Due campetti da calcio, l’orto solidale. Ma non basta. «Non vogliamo soldi, fateci altri campi, dateci i palloni, aprite le scuole tutto il giorno. Togliete l’immondizia. Li vedi quelli? Sono sacchi pieni di amianto, perché non li hanno portati via quando hanno pulito le tre strade in cui ha sfilato Giorgia Meloni?».

L’amianto a Parco Verde c’è ovunque, anche nelle case popolari. Da qui i casi di leucemie anche tra gli adolescenti. Enzo, il professore, volontario con Mazza, ha perso così un figlio di 15 anni. Le mamme spesso vengono a confidarsi con Bruno, Cristina e gli altri operatori. «Ma se a quel bidello che in quartiere si sa che ha molestato più di un bambino non è stato fatto niente, perché la camorra è peggio dello Stato? Lascia stare i processi. Perché gli hanno permesso di continuare a stare a contatto con i minori? Nel palazzo in cui abitavano le bambine stuprate da tempo ci sono casi di violenze e abusi, noti agli assistenti sociali. Conoscono anche i nomi di tutti coloro che non finiscono la scuola dell’obbligo. Pensi che il carcere spaventi qualcuno? La camorra fa schifo, ma non è l’unico orco da queste parti. Qua funziona solo l’emergenza, i soldi arrivano così». La violenza genera violenza. Non incontro nessuno che sembra fiducioso di un cambio di passo alla luce delle ultime promesse. Forse perché in tanti credono che il fango seppellirà anche queste. Lavoratori edili, donne delle pulizie, contadini. «La polizia che ha fatto la retata spot l’altra sera è andata dove la droga non si spaccia più, che sceneggiata è?». Parco Verde però non è diverso da tanti altri posti di periferia abbandonati d’Italia. Prendo in prestito le analisi di Alessandro Leogrande. Era il 1997 e in un suo importante lavoro sulle periferie intervistò il sociologo Stefano Laffi, che spiegò come e perché un terzo della popolazione italiana era stata esclusa da qualsiasi standard di benessere. Quelli sotto la soglia di povertà, sfrattati o senza casa, o in alloggi popolari fatiscenti, con un lavoro precario, ma molto precario, di quelli che non sai se il giorno dopo lavorerai si o no. Al centro delle città i ricchi e i servizi di maggior pregio, vedi le banche, le biblioteche, i teatri, i cinema. Nelle periferie solo condomini ad alta intensità abitativa, no aree verdi, giardini, viali alberati, nemmeno pensati negli originali progetti urbani. In più in zone come Parco Verde, oltre ai poveri, ci sono finiti i reietti, la criminalità, lo spaccio. Lo Stato è rimasto alla porta, ha lasciato fare.

È proprio così il Parco Verde. Palazzoni fatiscenti, la maggior parte senza balconi, panni stesi, non c’è una panchina, un’altalena, uno scivolo, muri imbrattati. È tutto brutto. Gli occhi dei bambini si riempiono da subito di degrado. Il cimitero, il teatro abbandonato “Caivano arte”, il Centro sportivo Delphinia dismesso da tempo e ora con i sigilli all’ingresso perché teatro degli ultimi stupri ma anche cimitero di corpi morti per overdose. Persino il parco dietro la chiesa di Don Patriciello è orrendo. Erba alta, panchine arrugginite e poi, dietro l’immondizia e le siepi, i resti di giochi per bambini inutilizzabili da chissà quanti decenni. Arrivo alle dieci del mattino, per strada non gira nessuno, qualche donna è affacciata alla finestra. Fermo chi incrocio, citofono, mi infilo nei portoni: giuro che non voglio fare domande sullo stupro e nemmeno sulla camorra. «Niente nomi». Ok. S. oggi ha 17 anni, non frequenta più le scuole di Parco Verde. «In prima superiore mi avevano preso di mira. Mi insultavano, picchiavano, un giorno mi hanno trascinato dietro la chiesa e mi hanno umiliato abbassandomi i pantaloni». Non è più voluto andare a scuola. «Mia madre alla fine mi ha convinto a iscrivermi a un altro istituto fuori Caivano. E adesso sto meglio». G. ha 24 anni, occhi chiari, voce tremante: «Ho preso la terza media e mi sono ritirata». Perché? «Non è stata un’esperienza bella. Mi sfottevano per il mio aspetto, per come vestivo. Io mi difendevo, ma qui è così: prendono di punta sempre i deboli e io lo sono». E gli insegnanti? «Mamma è andata più volte a parlarci. Loro li ammonivano in classe ma poi nessuno si mette contro queste bande». La scuola dell’obbligo è fino ai 16 anni, non è mai venuto nessuno a chiamarti? A bussare ai tuoi genitori? «No». E in tutti questi anni cosa hai fatto? «Niente, sono rimasta chiusa a casa. Mamma fa le pulizie, prende tra i 3 e i 5 euro a scala. Papà fa il contadino. Lavorano entrambi in nero. Non mi hanno mai fatto uscire da sola. Hanno paura di tutto. Anche io ho paura, ora soffro di ansia però, mi fa male spesso il petto». Niente amici o amiche, compleanni, chiusa in casa a pulire e cucinare. Sei mai stata da uno psicologo? Hai mai visto un assistente sociale? «No». E oggi che sogni? «Diventare mamma».

C. ha 12 anni, è mezzogiorno quando lo incrocio per strada ed è ancora in pigiama. «Mi sono appena svegliato – dice – ieri ho finito tardi di lavorare». In che senso? «Faccio il pizzaiolo. Sto già dietro al forno, sai?». Me ne parla con orgoglio. Sei minorenne, non potresti lavorare. «Vado solo quando non c’è scuola. Prendo cento euro a settimana. A luglio e agosto ho messo da parte 800 euro». E che ci farai? «Un regalo a mia sorella e poi mi compro ciò che mi serve per la scuola. Aiuto i miei genitori». Da grande? «Farò il pizzaiolo, sicuro. Però gioco anche bene a pallone, magari mi chiama il Napoli. Ma qui a Parco Verde non esco più, non mi piace. Io me la facevo laggiù con alcuni amici». Laggiù? «Dove hanno stuprato le ragazzine. Quando ho sentito questi fatti però ho detto a mia mamma: non ci vado più. La sera preferisco andare a faticare. Allo spaccio siamo abituati, lo sappiamo che c’è ma che possano accadere queste cose schifose no. Può succedere anche a me, anche a te. Purtroppo abitiamo qua solo perché non possiamo andare da nessun’altra parte. Da grande vorrei farlo abbattere questo posto di merda». L. ha un fratello più piccolo, è rabbioso, è di lui che vuole parlarmi. «Ha un ritardo cognitivo, fino alla scuola media ha avuto un’insegnante di sostegno. Quando però è arrivato il momento di iscriversi alle scuole superiori i miei genitori hanno trovato un muro. Ci dicevano che le scuole di Parco Verde non erano idonee per lui e così mamma se l’è tenuto a casa e da 5 anni non esce più, non fa terapie né uno sport. Non è giusto». Tu che fai? «Lavoro in fabbrica, ma ho fatto di tutto, sono stato anche al mercato per 15 euro al giorno. Noi la camorra non la siamo mai andati a cercare, ma quando avevamo bisogno di aiuto lo Stato ci ha negato una mano». A Parco Verde non esistono eroi. E non ci sono né santi, né Madonne.