(Massimo Gramellini – corriere.it) – La bozza del decreto-legge che vieta il cellulare ai minori condannati per gravi reati mette il timbro del governo su una verità banale ma incontestabile: lo smartphone è diventato il centro delle nostre vite. A tal punto che il legislatore, dovendo escogitare una punizione veramente afflittiva e una minaccia veramente persuasiva, pensa di ricorrere al proibizionismo telefonico. E lo fa perché suppone che un ragazzino, posto davanti alla scelta tra la libertà di muoversi e quella di chattare, trovi più irrinunciabile la seconda. Non è escluso che il divieto possa estendersi agli adulti come pena accessoria. D’altronde quanti di noi, se lasciano a casa il portafogli non tornano indietro a prenderlo, mentre se dimenticano la protesi telefonica si precipitano a recuperarla?

Nel solco della tradizione italiana, anche questa legge non sembra però in grado di fare il solletico alla realtà. Come si potrà impedire al giovane sconnesso dal suo smartphone di usare quello intestato a un altro? Verranno create apposite pattuglie di polizia che invieranno cuoricini su whatsapp per vedere se il reprobo risponde? In Cina hanno appena imposto un limite quotidiano di due ore all’uso del telefono per tutti i minori, incensurati compresi, ma il proibizionismo funziona solo nei regimi autoritari, e forse nemmeno più lì. Da noi è più probabile che fiorisca un mercato nero di cellulari schermati o tarocchi, che finirà per arricchire quegli stessi ambienti malavitosi da cui proviene larga parte dei giovani a cui è destinato il divieto.