
(Tommaso Cerno – lidentita.it) – C’è un’Orsa Maggiore, lo sa Amarena, e c’è un’Orsa Minore, il dramma delle donne, giovanissime, vittime della violenza di Palermo e di Caivano. Lo dicono le statistiche che analizzano il web. In quel mondo, popolato dai più giovani degli italiani, ha creato più attenzione, più emozione, più commenti, più realtà la morte drammatica e straziante di quella mamma orsa, e del destino dei suoi cuccioli di quanto abbia invece provocato uno dei reati più atroci e più violenti che le cronache possano raccontare.
Se dice una cosa questa statistica su chi siamo e su quanto capiti ormai troppo spesso che la lezione del giorno dopo ce la diciamo solo tra adulti. Oltre a mostrarci dove siamo in grado di arrivare e quanto poco ci sia chiara la ragione per cui il gruppo di giovani diventa branco, il cacciatore che ha ucciso a colpi di fucile l’orsa che dava il senso alla Parco degli Abruzzi, una nemesi della drammatica vicenda che qualche mese fa aveva lasciato il Trentino e l’Italia intera pietrificati di fronte all’incidente di un runner morto dopo l’aggressione dell’orsa jj4, ci dà chiaramente l’idea anche di quanto poco siamo capaci di intervenire. Perché se questi fatti di cronaca hanno lasciato unito il Paese nello sgomento, non hanno abbattuto quel muro invisibile che ormai separa l’Italia in due parti.
Questi padri che lasciano ai loro figli un Paese spettinato, mal funzionante, dove il futuro non solo non è certo ma è intermittente, precario. E questi ragazzi che si rifugiano nel virtuale, dopo che siamo stati noi spaventati da un virus a mostrargli che il mondo si poteva tranquillamente fermare e che tutto, dallo Stato, alla scuola, alla vita reale poteva trovare un sostituto digitale senza che questo ci ponesse il problema di dove stessero andando, di quali fossero i loro pensieri, di quanto fosse per loro diversa la società che noi crediamo di conoscere e le regole su cui si fonda. Per cui di queste storie non possiamo ereditare solo il sentimento, dobbiamo attaccare il cervello.
E dirci con chiarezza che serve rimettere la testa e le mani dentro la società reale. Perché non è un Paese civile né democratico il Paese che si indigna, ma lo è il Paese che si dice con franchezza tutta la verità, soprattutto quella che non piace dire. Il Paese che torna a usare le parole e a chiamare le cose con il proprio nome perché non esiste malattia che possa essere curata se qualcuno prima non la chiama per quello che è. E la malattia dell’Italia si chiama rassegnazione, rassegnazione a un destino diverso da quello che avevamo immaginato e per cui avevamo lavorato e lottato. E questa rassegnazione si trasmette come lungo un conduttore l’energia dentro la società e sortisce un effetto, quello di uccidere il tessuto che noi crediamo ancora integro quando invochiamo le nostre classiche parole d’ordine, quelle della civiltà, quelle della libertà, quelle della giustizia.
Perché quando un padre di famiglia si sente inutile per il futuro dei propri figli, succede che la famiglia si scardina piano piano. Quando la scuola dà l’impressione di non portare verso il lavoro e il benessere, succede che questo futuro si cerchi altrove, dove i modelli ci dicono soldi facili perché con quelli la carta d’identità somiglia di più a quella del Paese. E succede pure che una vicenda di cronaca come quella del Trentino, che ha mostrato prima di tutto gli errori umani e le sottovalutazioni della politica, trasforma un animale che noi abbiamo voluto avere vicino nel nemico da battere, nel pericolo che mina le nostre esistenze, in qualcosa che esso non è, ma che quando ci troviamo di fronte fa scattare in noi la reazione che ci sembra in quel momento più naturale, o addirittura giusta, salvo poi ritrovarsi nella realtà che è ben diversa con una vita rovinata. E allora è un Paese che ci chiude le porte e ci tappa le orecchie, soli dove eravamo prima, ma forse ancora di più.
“Se dice una cosa questa statistica su CHI siamo…”
Cerno ciurla nel manico: le statistiche dicono una cosa, quando va benissimo, su QUANTI siamo.
Il resto lo mettono gli aprofittatori, più o meno consapevoli di esserlo.
I fatti, e a maggior ragione i numeri, sono MUTI, come ben diceva qualcuno: li fanno parlare solo le tendenze, non la verità. Le statistiche sono una delle peggiori illusioni sulle quali si basa il (presunto) sapere moderno.
"Mi piace"Piace a 1 persona
La Statistica
Sai ched’è la statistica? È na’ cosa
che serve pe fà un conto in generale
de la gente che nasce, che sta male,
che more, che va in carcere e che spósa.
Ma pè me la statistica curiosa
è dove c’entra la percentuale,
pè via che, lì, la media è sempre eguale
puro co’ la persona bisognosa.
Me spiego: da li conti che se fanno
seconno le statistiche d’adesso
risurta che te tocca un pollo all’anno:
e, se nun entra nelle spese tue,
t’entra ne la statistica lo stesso
perch’è c’è un antro che ne magna due.
"Mi piace""Mi piace"
Sì, baky, detta in modo più filosofico:
“Ritorniamo ora a considerare il punto di vista più propriamente «scientifico» come lo intendono i moderni. Questo punto di vista è sostanzialmente caratterizzato dalla pretesa di ridurre tutte le cose alla quantità, e di non tenere in alcun conto quel che non è riducibile ad essa e di considerarlo in un certo senso come inesistente; si è persino arrivati a pensare e a dire comunemente che tutto quanto non può essere «numerato», cioè espresso in termini puramente quantitativi, è, appunto per ciò, sprovvisto di ogni valore «scientifico» ; e questa pretesa non si applica solo alla «fisica» nel significato ordinario della parola, ma a tutto l’insieme delle scienze «ufficialmente» ammesse oggi, ivi compreso, come abbiamo già visto, anche il campo psicologico. Le spiegazioni da noi date in precedenza bastano a far capire che, a questo modo, si lascia fuori tutto quanto è
veramente essenziale nella più ristretta accezione del termine, e che, a cadere in preda di una scienza del genere è, in realtà, soltanto un «residuo» del tutto incapace a spiegare qualsiasi cosa; desideriamo tuttavia insistere ancora un po’ su un aspetto molto caratteristico di questa scienza, il quale mette in particolare evidenza come essa si illuda su ciò che è possibile trarre da semplici valutazioni numeriche…”
E una cosa curiosa riguardo le statistiche è questa:
“Oltre a quelle di cui abbiamo detto finora, la «solidificazione» del
mondo ha, nell’ordine umano e sociale, altre conseguenze di cui non
abbiamo ancora parlato: essa genera, a questo riguardo, uno stato di cose in
cui tutto è contato, registrato e regolamentato, ciò che in fondo non è che
un’altra forma di «meccanizzazione». È fin troppo facile constatare
dappertutto, all’epoca nostra, fatti sintomatici quali, per esempio, la mania
dei censimenti (la quale si ricollega del resto direttamente all’importanza
attribuita alle statistiche)… Ci sarebbe molto da dire sulle proibizioni formulate in alcune tradizioni contro i censimenti, salvo in pochi casi eccezionali; se si dicesse che simili operazioni, insieme a tutte quelle del cosiddetto «stato civile», hanno fra gli altri inconvenienti quello di contribuire ad accorciare la durata della vita umana (ciò che è del resto conforme al procedere stesso del ciclo, soprattutto nei suoi ultimi periodi), certamente nessuno ci crederebbe, e tuttavia in certi paesi anche i contadini più ignoranti sanno benissimo, quale fatto d’esperienza corrente, che se si contano troppo spesso gli animali ne muoiono molti di più che se ci se ne astiene; Sennonché evidentemente, agli occhi dei moderni sedicenti «illuminati», queste non possono essere che «superstizioni»!”
"Mi piace"Piace a 1 persona
Davvero interessante.
"Mi piace""Mi piace"
Trilussa sarà stato un gran poeta, ma della statistica non ha capito proprio un CA22O e con lui baki.
"Mi piace""Mi piace"
Interessante modo di relazionarsi. Davvero interessante.
Dalla tua risposta a B(o)urla, di ben altro tenore, si evince che tu non hai capito l’oggetto della discussione: non la statistica applicata alle macchine ma alle abitudini umane.
"Mi piace""Mi piace"
Io ho capito benissimo, a quanto pare sei tu che evinci sbagliato.
La vostra concezione di statistica si fonda sugli errori tipici di chi non la conosce affatto. La statistica è una delle materie più difficili da capire perché è completamente contro intuitiva.
Ecco perché chi tanti come me per lavoro la applica “alle abitudini umane” possono permettersi di volare esclusivamente in prima classe e fare sei mesi di vacanze l’anno in resort 5 stelle. 🙂
"Mi piace""Mi piace"
A Rassegnato1962
Non perda tempo con i bigoli,mi creda
"Mi piace""Mi piace"
Un altro con un nick molto esplicativo…
"Mi piace""Mi piace"
Se parlo con te,non posso non esserlo.Capisci il perché?
"Mi piace""Mi piace"
Ah ah ah!
Capito orbo?
Ah ah ah: un bel esempio di procedura contro intuitiva…
PS: ti consiglio allora di cambiare nick quando ti relazioni col resto del blog, altrimenti, a ragione, potrebbero mandarti a ca6are.
"Mi piace""Mi piace"
* approfittatori
"Mi piace""Mi piace"
@rassegnato1962
Esatto…
"Mi piace""Mi piace"
Tu quoque Carognina!
PS: quando imparerari a postare nei posti giusti? Capico che, come l’orbo, sei abituata a procedure contro intuitive, ma insomma, eh, eh, eh…
"Mi piace""Mi piace"
* imparerai
* capisco
"Mi piace""Mi piace"
Giusto perché tu lo sappia se internet e i motori a combustione interna funzionano, se gli aeroplani volano e se abbiamo previsioni meteorologiche è grazie alla statistica. Su cosa credi si basino i protocolli di comunicazione, le varie modulazioni che consentono sempre maggiori velocità di trasmissione dati, le leggi della termodinamica e della meccanica dei fluidi?
"Mi piace""Mi piace"
Lo strafottente arrogantello che di statistiche capisce quanto capisce dell’esperienza della vita, cioè: un casso di niente, e che ancor meno ha capito il contendere del discorso che ha avuto come spunto la scienza statistica, si RASSEGNI pure al destino che gli è toccato, col suo avatar, palesare al blog (e inconsciamente anche a se stesso!): la cecità!
Scusandoci per la lunghezza, preghiamo Pengue/Zeus di pubblicare l’intero articolo, ché ne vale proprio la pena:
“L’illusione delle statistiche
Ritorniamo ora a considerare il punto di vista più propriamente «scientifico» come lo intendono i moderni. Questo punto di vista è sostanzialmente caratterizzato dalla pretesa di ridurre tutte le cose alla quantità, e di non tenere in alcun conto quel che non è riducibile ad essa e di considerarlo in un certo senso come inesistente; si è persino arrivati a pensare e a dire comunemente che tutto quanto non può essere «numerato», cioè espresso in termini puramente quantitativi, è, appunto per ciò, sprovvisto di ogni valore «scientifico» ; e questa pretesa non si applica solo alla «fisica» nel significato ordinario della parola, ma a tutto l’insieme delle scienze «ufficialmente» ammesse oggi, ivi compreso, come abbiamo già visto, anche il campo psicologico. Le spiegazioni da noi date in precedenza bastano a far capire che, a questo modo, si lascia fuori tutto quanto è veramente essenziale nella più ristretta accezione del termine, e che, a cadere in preda di una scienza del genere è, in realtà, soltanto un «residuo» del tutto incapace a spiegare qualsiasi cosa; desideriamo tuttavia insistere ancora un po’ su un aspetto molto caratteristico di questa scienza, il quale mette in particolare evidenza come essa si illuda su ciò che è possibile trarre da semplici valutazioni numeriche; cosa questa che si riallaccia del resto, in modo diretto, agli argomenti che abbiamo trattato per ultimi. La tendenza all’uniformità, in effetti, che la si applichi nell’ambito «naturale» oppure nell’ambito umano, conduce ad ammettere, ed in certo qual modo a stabilire come principio (noi dovremmo piuttosto dire «pseudo-principio»), che esistono ripetizioni di fenomeni identici, la qual cosa, in virtù del «principio degli indiscernibili», è una pura e semplice impossibilità. Quest’idea si traduce in particolare nell’affermazione corrente secondo cui «le stesse cause producono sempre gli stessi effetti», il che, enunciato in questa forma, è decisamente assurdo, perché di fatto, in un ordine successivo di manifestazione, non possono esserci né le stesse cause né gli stessi effetti; eppure non si arriva forse a dire comunemente che «la storia si ripete», quando in realtà esistono solo corrispondenze analogiche fra certi periodi e fra certi avvenimenti? Quel che si dovrebbe dire, è che cause paragonabili tra loro sotto certi rapporti producono effetti ugualmente paragonabili sotto gli stessi rapporti; ma a parte certe rassomiglianze, che se si vuole rappresentano un’identità parziale, vi sono sempre necessariamente delle differenze, proprio perché, per ipotesi, si tratta di due cose distinte e non di una sola e stessa cosa. È vero che queste differenze, per il fatto stesso di essere distinzioni qualitative, sono tanto minori quanto più ciò che si considera appartiene ad un grado più basso della manifestazione, e che, di conseguenza, si accentuano nella stessa misura le somiglianze, così da far pensare in taluni casi ad una specie di identità, ad un’osservazione superficiale ed incompleta; ma in realtà le differenze non si eliminano mai completamente, altrimenti si sarebbe addirittura al di sotto di ogni manifestazione. Quand’anche tali differenze risultassero dall’influenza di circostanze di tempo e luogo cangianti senza posa, non per questo si potrebbero trascurare; in verità, per comprenderle, bisogna rendersi conto che, contrariamente all’opinione dei moderni, lo spazio ed il tempo reali non sono soltanto contenenti omogenei e modi della quantità pura e semplice, ma che esiste anche un aspetto qualitativo delle determinazioni temporali e spaziali. Comunque sia, c’è da chiedersi come, trascurando le differenze e rifiutandosi in un certo senso di vederle, si possa pretendere di costituire una scienza «esatta». A rigore e effettivamente di «esatto» non può esserci che la matematica pura in quanto essa veramente si riferisce al dominio della quantità; quel che resta della scienza moderna non è e non può essere, in tali condizioni, se non un tessuto di approssimazioni più o meno grossolane, e ciò non soltanto nelle applicazioni, in cui tutti più o meno sono obbligati a constatare l’inevitabile imperfezione dei mezzi di osservazione e di misura, ma anche nello stesso punto di vista teorico. Le supposizioni irrealizzabili che costituiscono quasi tutta la sostanza della meccanica «classica», la quale poi serve da base a tutta la fisica moderna, potrebbero fornire qui una moltitudine di esempi caratteristici. ( Dove si è mai visto, per esempio, un «punto materiale pesante», un «solido perfettamente elastico», un «filo inestensibile e senza peso» ed altre non meno immaginarie «entità» di cui abbonda questa scienza considerata come «razionale» per eccellenza?) L’idea di prendere la ripetizione in qualche modo a fondamento di una scienza tradisce un’ulteriore illusione di ordine quantitativo, la quale consiste nella convinzione che il solo accumulare un gran numero di fatti possa servire da «prova» ad una teoria. Eppure è evidente, per poco che vi si rifletta, che i fatti di uno stesso genere sono sempre in moltitudine indefinita, per cui non si può mai constatarli tutti, senza contare che gli stessi fatti si accordano generalmente bene con numerose teorie diverse. Si dirà che la constatazione di un più grande numero di fatti dà almeno una maggiore «probabilità» alla teoria: ma questo modo di procedere equivale a riconoscere che non si può assolutamente arrivare ad una certezza qualsiasi e quindi che le conclusioni enunciate non hanno proprio niente di «esatto»; ed equivale pure ad ammettere il carattere del tutto «empirico» della scienza moderna, i cui fautori, per una strana ironia, si compiacciono di tacciare di «empirismo» le conoscenze degli antichi, quando in realtà è vero esattamente il contrario, perché tali conoscenze, di cui essi ignorano del tutto la vera natura, partivano da principi e non da constatazioni sperimentali, e quindi si può ben dire che la scienza profana è costituita esattamente al rovescio della scienza tradizionale. Si può anche dire che, per quanto insufficiente sia l’«empirismo» in se stesso, quello della scienza moderna è ben lungi dall’essere integrale, poiché trascura o elimina una parte considerevole dei dati dell’esperienza, tutti quelli cioè che presentano un carattere prettamente qualitativo. L’esperienza sensibile, non diversamente da qualsiasi genere di esperienza, non può assolutamente vertere sulla quantità pura, e più ci si avvicina a questa, più ci si allontana da quella realtà che si pretende constatare e spiegare; e, di fatto, non sarebbe difficile accorgersi come le teorie più recenti sono anche quelle che hanno meno rapporto con tale realtà, e che più volentieri sostituiscono quest’ultima mediante «convenzioni», non diremo del tutto arbitrarie (in quanto è impossibile fare una «convenzione» senza che vi sia qualche ragione per farla), ma perlomeno arbitrarie al massimo, cioè quasi prive di fondamento nella vera natura delle cose. Dicevamo un momento fa che la scienza moderna, per il fatto stesso di voler essere completamente quantitativa, rifiuta di tener conto delle differenze tra i fatti particolari, perfino in casi in cui queste differenze sono più accentuate, cioè in quelli ove gli elementi qualitativi hanno maggior predominanza su quelli quantitativi; ed è soprattutto in questo caso che si può dire che le sfugge la parte più considerevole della realtà, e che l’aspetto parziale ed inferiore della verità che essa può afferrare nonostante tutto (poiché l’errore totale non può avere altro senso che quello d’una negazione pura e semplice) si trova pertanto ridotto pressoché a niente. È così soprattutto quando si arriva a prendere in esame fatti di ordine umano, i più altamente qualitativi di tutti quelli che tale scienza intende comprendere nel proprio ambito, e che tuttavia essa si sforza di trattare esattamente come gli altri, come quelli che essa rapporta non soltanto alla «materia organizzata», ma anche alla «materia bruta»: essa in effetti non ha che un solo metodo che uniformemente applica agli oggetti più diversi, appunto perché, dal suo particolare angolo visuale, è incapace di distinguerne le differenze essenziali. È appunto in quest’ordine umano, si tratti di storia, di «sociologia», di «psicologia» o di qualunque altro genere di studi, che appare nel modo più pieno il carattere fallace delle «statistiche» a cui i moderni attribuiscono tanta importanza. Qui, come in tutti gli altri casi, tali statistiche consistono soltanto nel contare un numero più o meno grande di fatti, supposti tutti completamente simili tra loro, ché, diversamente, la loro somma non avrebbe significato alcuno; ed è evidente che a questo modo si ottiene soltanto un’immagine della realtà tanto più deformata quanto più i fatti in questione non sono effettivamente simili e paragonabili che in misura minima, cioè quanto più considerevoli sono l’importanza e la complessità degli elementi qualitativi che essi implicano. Solamente che, con l’incolonnare a questo modo cifre e calcoli, ci si crea, mentre si cerca di darla agli altri, una certa illusione di «esattezza» che si potrebbe qualificare «pseudo-matematica». Di fatto però, senza nemmeno accorgersene, grazie alle idee preconcette, si trae indifferentemente da queste cifre quasi tutto quel che si vuole, tanto sono prive di significato in se stesse; lo prova il fatto che le stesse statistiche, fra le mani di scienziati diversi anche se dediti alla stessa «specialità», danno spesso luogo, a seconda delle loro rispettive teorie, a conclusioni del tutto diverse se non addirittura diametralmente opposte. In queste condizioni, le cosiddette scienze «esatte» dei moderni, col far intervenire le statistiche e col voler pretendere di trarne previsioni per l’avvenire (sempre in virtù della supposta identità di tutti i fatti considerati, siano essi passati o futuri), non sono in realtà se non semplici scienze «congetturali», secondo l’espressione impiegata volentieri dai promotori di una certa astrologia moderna detta «scientifica» (che riconoscono in tal modo più francamente di altri di che cosa si tratta… La supposizione di una identità tra i fatti che in realtà sono solo dello stesso genere, cioè paragonabili esclusivamente sotto certi rapporti, oltre a contribuire, come abbiamo spiegato, a creare l’illusione di una scienza «esatta», soddisfa molto bene il bisogno di semplificazione eccessiva, altra caratteristica assai stupefacente della mentalità moderna; talché si potrebbe, senza la minima intenzione ironica, qualificare tale mentalità di gretto «semplicismo», tanto nelle sue concezioni «scientifiche», quanto in tutte le altre sue manifestazioni. Tutte queste cose sono del resto solidali, e il bisogno di semplificare accompagna necessariamente la tendenza a tutto ridurre al quantitativo, e per di più la rinforza, poiché evidentemente nulla può esistere di più semplice della quantità. Se si riuscisse a spogliare interamente un essere o una cosa delle sue qualità proprie, il «residuo» ottenuto presenterebbe sicuramente il massimo di semplicità, e, al limite tale estrema semplicità sarebbe quella che non può appartenere se non alla quantità pura, cioè a quelle «unità», tutte simili tra loro, che costituiscono la molteplicità numerica…”
"Mi piace""Mi piace"
Chiaro che il Gatto, ossessionato dai manipolatori dei numeri (e sicuramente delle formule chimiche che dell’uso dei numeri necessita), manco si pone il problema che chi quei numeri li sa trattare, potrebbe usarli pure in maniera virtuosa, magari per essere d’aiuto al suo prossimo che potrebbe averne assoluto bisogno per i più disparati motivi.
No.
Per il nostro amico baffuto tutto è marcio e tanto vale radere al suolo ogni progresso civile perché per lui non esiste un progresso civile ma nient’altro che un’unica corsa verso l’inciviltà.
Per cui meglio tornare alle caverne, ognuno di noi unico e solo in balìa di orsi e lupi.
E se hai fondoschiena te la cavi, per tutti gli altri…
Che si affidino alla misericordia divina recitando sequele di preghiere da mane a sera.
Rigorosamente in latino, naturalmente.
"Mi piace""Mi piace"
Ecco, tu oltre che orbo sei anche sc3mo, STATISTICAMENTE più tendente al secondo handicap che al primo.
Il classico esempio di maschietto moderno (dire uomo è senz’altro eccessivo…) sovrastato da tutta una serie di falsità (prima tra tutti, la più perniciosa: l’evoluzionismo biologico), le quali permettono a questi individui di non sospettare nemmeno lontanamente sotto quale incantesimo trascorrano tutta la loro inutile, quando va bene, esistenza, nella quale parlano e parlano e parlano in continuazione, tanto più audacemente quanto meno sanno.
L’uomo non deriva dalla scimmia, lo sta a grandi passi diventando! Se proprio si volesse a tutti i costi scomodare quella teoria bislacca che va sotto il nome di Trasformismo, è di INVOLUZIONISMO ciò di cui si tratterebbe in realtà, altro che EVOLUZIONISMO! Ma vai a spiegare agli orbi, per non parlare degli sc3mi, la luce:
prova, senza scomodare le caverne grunf, grunf, a confutare quello che hai létto, ammesso che tu lo abbia fatto e, nel caso, capito…
"Mi piace""Mi piace"
Già confutato, Gatto, senza riempire paginate di paroloni inutili.
Ma tu non l’hai capito.
Perché sei limitato.
Ti sei dato degli schemini dai quali non riesci ad uscire.
Se ne esci ti metti a piangere perché ti ritrovi come un bambino abbandonato nella giungla degli uomini.
Diventa adulto, micio.
Accendila tu la luce.
Altrimenti invecchi senza capire niente del perché stai al mondo.
Ps
Smettila di insultare a gratis, ti rendi ancora più patetico di quel che appari.
"Mi piace""Mi piace"
Irresistibilmente il pensiero va a:
Discutere con certe persone è come giocare a scacchi con un piccione. Puoi essere anche il campione del mondo ma il piccione farà cadere tutti i pezzi, cagherà sulla scacchiera e poi se ne andrà camminando impettito come se avesse vinto lui.
"Mi piace""Mi piace"
Non ho vinto niente Gatto.
Semplicemente non mi adeguo ai tuoi schemini.
Perché non hai nemmeno l’umiltà di metterli a confronto.
Li vuoi imporre ricorrendo, con la superbia dei saccenti che non sanno che anche il più sapiente ignora, pure agli insulti.
Paradossalmente proprio come fanno coloro che tu disprezzi più di tutti.
"Mi piace""Mi piace"
Che collegamento mai ci vedrai tra gli insulti e presunte imposizioni di schemini (sigh): io non insulto te per importeli, io ti insulto perché, molto semplicemente, provo piacere a farlo. Ci penserà la vita stessa a importi i SUOI SCHEMINI, e senza insultarti. Io non ho questo potere e se ce l’avessi, non ti farei mai questo piacere.
Ma adesso basta, ché faccio fatica a trovare anche gli insulti adatti con uno come te: non c’è nemmeno divertimento a infierire con i morti che camminano.
"Mi piace""Mi piace"
OT
Hei Gatto,scusa l’intrusione e il disturbo a te e a Gsi.
Se non disturbo,presumo che tu sia capace,come altri vedo(io no sigh),a ritrovare articoli passati su infosannio
Volevo chiederti come si fa o se riesci a ritrovare un articolo su Oppenheimer di qualche settimana fa su infosannio.
Se non è troppo sbattimento o se è facile l’operazione.Sempre se hai voglia.
Altrimenti grazie lo stesso.
Ps è giusto per farglielo leggere a un nostro comune amico di Torino,associato a un articolo fresco fresco.
"Mi piace""Mi piace"
Teh, ciàpa chi:
E daiiiii Pengueeeeeeeeeeee
"Mi piace""Mi piace"
Grazie 1000 Gatto , ti sono in debito.
Purtroppo la nottata non ha prevalso sulla moderazione.
Riprovo sotto
Buona giornata
"Mi piace""Mi piace"
Bravo Gatto,
Ora mettiti specchiati e insulta un po’ anche il morto che cammina che ti ritrovi davanti.
"Mi piace""Mi piace"
Mettiti buono,
"Mi piace""Mi piace"
Grazie 1000 Gatto ti sono in debito.
La notte non è bastata a superare la moderazione. Riprovo.
@ al professore di Fisica Esticazzi aka dedalo aka thomas paine
In continuazione a quanto da me dichiarato ( film propaganda Nato/ sminuire Fermi) e a quanto da lei risposto.
Faccio copia incolla e non vado oltre. Si offenda da solo, non c’è bisogno che lo faccio io.
Da corriere.it
“«Oppenheimer» di Nolan, ecco le tre lacune (gravi) sul ruolo di Fermi
Massimo Sideri”
https://www.corriere.it/economia/opinioni/23_settembre_06/oppenheimer-nolan-ecco-tre-lacune-gravi-ruolo-fermi-fe223e3e-4c3f-11ee-8f58-ffd638c75fa2.shtml
Stralci articolo
“Un film assolutamente da vedere. È vero. Ma proprio perché è da vedere bisogna sapere che ci sono alcune lacune molto profonde che riguardano proprio Enrico Fermi. Il fisico premio Nobel che guidò il gruppo dei ragazzi di via Panisperna a Roma (tra cui Edoardo Amaldi, Franco Rasetti, Emilio Segrè, Bruno Pontecorvo ed Ettore Majorana) nel film compare fisicamente solo di sfuggita una volta, per un totale di tre lillipuziane citazioni (di cui una sulla sua “scommessa” sulla probabilità che la reazione a catena della fissione nucleare avrebbe potuto in realtà procedere senza fermarsi incendiando tutta l’atmosfera terrestre).”
“1) Nella prima parte del film che ha il merito di cercare di porre in chiave divulgativa le basi dei fenomeni di rottura dell’atomo e anche della fisica quantistica compare ad un certo punto un paper tedesco sul successo della fissione. Si tratta in effetti del risultato ottenuto da O. Hahn e F. Strassman che, bombardando con neutroni lenti l’uranio naturale, scoprirono dei radionuclidi aventi numero atomico compreso fra 35 e 57 (più basso del numero atomico originale). Questo fenomeno fu interpretato come la rottura del nucleo di uranio in due frammenti all’incirca uguali e ad esso venne dato il nome di fissione. Fu anche scoperto che soltanto il 235 U (quello contenuto nel cosiddetto uranio arricchito) subisce la fissione. Quello che sarebbe stato necessario aggiungere per capire il ruolo di Fermi nella vicenda è che Hahn e Strassman avevano continuato a lavorare per anni con Lise Meitner (”la Marie Curie tedesca”, copyright dello stesso Einstein) proprio per riprodurre gli esperimenti del fisico italiano. Lo stesso termine “fissione” si deve alla Meitner. Fermi difatti aveva già “rotto” l’atomo, anche se è vero che all’inizio non se ne era accorto nemmeno lui. Come avrebbe potuto? Si trattava di rompere qualcosa che era considerato indivisibile e indistruttibile. Si era appena compresa finalmente con Bohr (interpretato nel film dall’intramontabile Kenneth Branagh) la struttura dell’atomo con gli elettroni che potevano viaggiare solo in determinati livelli (si scoprirà dopo che potevano anche scendere di livello e questo contribuisce al fenomeno radioattivo naturale).
Fermi pensò inizialmente di trovarsi solo di fronte a degli elementi nuovi della tavola periodica che battezzò ausonio ed esperio (antichi nomi dell’Italia. Non va dimenticato che Marie Curie aveva chiamato il suo elemento polonio in ricordo delle sue origini polacche e anche per “vendetta” nei confronti della società francese che non le rese mai la vita facile). Ma nel 1938 Fermi aveva già ritirato il premio Nobel per la fisica per essere “riuscito a produrre nuovi elementi radioattivi mediante irradiazione con neutroni e per avere scoperto le reazioni nucleari prodotte dai neutroni lenti”. Anzi fu proprio approfittando della consegna del premio che lasciò l’Italia fascista con la moglie ebrea Laura per la strada degli Stati Uniti.
2) Nel film si passa troppo velocemente su un altro elemento fondamentale: il primo reattore nucleare artificiale capace di causare la fissione e una reazione a catena controllata (ecco perché la scommessa sulla possibilità di controllarla a dimensioni più alte) venne costruito da Fermi nel 1942 a Chicago. Si tratta della famosa “pila di Fermi”, in realtà il Chicago-Pile-1, che entrò in funzione il 2 dicembre del ‘42. Usava uranio e grafite. Senza questo risultato il programma non sarebbe mai andato avanti. Per capire la forza della reazione è sufficiente ricordare la formula più famosa al mondo: E=mc2. Visto che nella fissione si scende di numero atomico si perde anche massa che si libera sotto forma di energia.
3) Se non siete ancora convinti c’è un ultimo elemento: nel film si racconta anche la fase di disgrazia di Oppenheimer nel dopoguerra e le accuse di essere un comunista. Il fisico venne riabilitato dal presidente Johnson nel 1963. In quella occasione per sancire la sua importanza gli venne consegnata il “Premio Enrico Fermi”.
"Mi piace""Mi piace"
Grazie infosannio…mai dubitare😂😂😂
"Mi piace""Mi piace"
“ Senza questo risultato il programma non sarebbe mai andato avanti”
"Mi piace""Mi piace"
…il primo “aka” era @Mark Twain…
"Mi piace""Mi piace"