
(Stefano ROSSI) – Un’amara riflessione giuridica e politica.
L’art. 49 della Costituzione statuisce che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Questo non vuol dire che ci possano essere delle limitazioni per alcune categorie di lavoratori.
È noto a molti che alcune categorie non possono godere dei diritti riconosciuti alla stragrande maggioranza dei cittadini.
La Costituzione, all’art. 98, III comma, prevede limiti di iscrizione ai partiti politici per “magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero”.
Pensiamo se la gran parte dei magistrati, giudicanti e inquirenti, dei prefetti e questori, dirigenti delle Digos e Squadre Mobili dichiarassero la loro appartenenza ad un partito politico o, peggio, svolgessero attività politica che cosa potrebbe succedere. Come finirebbe un processo le cui indagini venissero dirette da un P.M. avversario politico del funzionario o ufficiale che indaga ed entrambi opposti al partito della vittima? Pensiamo se l’indagine riguardasse la corruzione di un pubblico ufficiale o un appalto pubblico di svariati milioni?
Nonostante l’art. 51 della Costituzione garantisce il diritto di accesso a tutti i cittadini “agli uffici pubblici e alle cariche elettive”, così non è per i magistrati; essi non possono iscriversi ai partiti politici così come devono rispettare le limitazioni per la loro candidabilità alle elezioni politiche. Addirittura, se non eletti, non possono per cinque anni ritornare a svolgere le loro funzioni nella circoscrizione dove si sono candidati (art. 8 DPR n. 361/1957).
Per le altre categorie indicate dall’art. 98, citato, non sono seguite leggi restrittive, eppure, come vedremo, la politica aveva trovato il sistema di evitare che potessero iscriversi ai partiti politici.
Nella nota vicenda del libro del generale, pochi citano l’art. 21 Costituzione, a mente del quale “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”; molti ricordano l’art. 1472 del C.O.M. (Codice dell’Ordinamento Militare, d.lgs n. 66/2010), che così dispone: “I militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione”.
L’articolo in questione riguarda il Titolo IX, Capo II, che riguarda “Le libertà fondamentali”, e anche uno studente del liceo Commerciale capisce che non si parla di politica.
Per questo c’è, al Capo IV, Sezione I, riguardante “Esercizio dei diritti politici, l’unico articolo 1483 che così dispone: “Le Forze armate devono in ogni circostanza mantenersi al di fuori dalle competizioni politiche.
Ai militari è fatto divieto di partecipare a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche, nonché di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati a elezioni politiche e amministrative”.
Vi sarebbe, in ultimo, l’art. 751 del d.P.R. n. 90 del 2010, Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, può essere punito con la sanzione della consegna di rigore, ogni “comportamento lesivo del principio della estraneità delle Forze armate alle competizioni politiche”.
Si tenga ben a mente che, nella parte relativa alla politica, vi è un solo articolo che toglie ogni dubbio su come si debba comportare un militare che voglia manifestare anche solo velatamente le sue idee politiche.
Se ci aggiungiamo le conseguenze alle sue esternazioni, la questione diventa materia del giudice penale militare, provvedimento disciplinare e azione politica che, per la verità, già intrapresa dal ministro Crosetto.
Vittorio Sgarbi, nelle sue innumerevoli cariche politiche ha dichiarato: “Le idee di Vannacci sono quelle per cui la destra ha vinto le elezioni”. Questo per dire quanto sono state dirompenti le frasi del generale nella compagine politica.
Per quarant’anni la Democrazia Cristiana ha gestito il ministero dell’Interno senza mai cedere il posto ad altro partito di governo. Durante quegli anni mai nessun prefetto, questore e via giù fino all’agente semplice, mai nessuno si è sognato di iscriversi ad un partito e men che mai esprimere le proprie opinioni politiche.
Pena il trasferimento immediato e la fine della carriera.
Così è stato in tutte le carriere militari ove i limiti sono ancor più stringenti.
Vero è anche che negli ultimi anni si sono avvicendati politici senza alcuna preparazione non solo generale ma giuridica; questo ha favorito un certo allargamento da parte dei pubblici dipendenti che si sono sentiti meno controllati con minor rischio di essere colpiti da provvedimenti disciplinari.
Poi la normativa sovranazionale ha fatto il resto.
Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, art. 19: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
CEDU, art. 10: “Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”.
Poi la Costituzione europea non fa altro che recepire questo diritto con un’aggiunta interessante che può creare problemi applicativi: “Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”.
In ultimo, Patto internazionale sui diritti civili e politici, in ambito O.N.U., e sottoscritto in New York in data 16 dicembre 1966, sullo stesso tenore delle norme citate.
Tutto questo non vuol dire che un militare o un funzionario di polizia possa iscriversi ad un partito politico senza conseguenze. La carriera può essere positiva o negativa per molti motivi e sarà comunque difficile capire se una promozione è avvenuta o meno per l’iscrizione ad un partito politico invece di un altro.
Come ho cercato di spiegare con alcuni esempi sopra, sarebbe meglio che alcune categorie di persone rimangano al di fuori e totalmente refrattarie alle ingerenze e alle sirene della politica.
L’art. 3 della Costituzione così recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli … che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo … all’organizzazione politica…”.
Entrambi i citati politici ignorano che i diritti dei Principi Fondamentali della Costituzione sono tutti di pari dignità senza alcuna classifica o che ve ne siano taluni più importanti di altri.
Esiste però la possibilità di un conflitto tra di essi. Per questo, il II comma dell’art. 3, citato, prevede che sia la Repubblica, cioè, in questo caso, la Corte Costituzionale o le magistrature superiori a dirimere i conflitti.
Ma un più approfondito esame della vicenda si può fare.
Come ho scritto, la Costituzione prevede il divieto per alcune categorie di persone di esprimere opinioni politiche. Nella storia della nostra Repubblica solo per i magistrati è stata emanata una legge ad hoc.
Non per le altre categorie citate.
Ma, allora, come interpretare le frasi del generale alla luce di tutte le norme citate? Alcune propense a riconoscere ai militari un diritto non solo di iscrizione ad un partito politico ma addirittura di partecipare alla vita politica del proprio Paese?
Come spesso accade, quando la politica non è in grado di risolvere un problema è la magistratura che ci mette una pezza.
Ne è prova la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, del 12.12.2017, n. 5845: “I militari possono iscriversi ad un partito politico, ma non anche assumere cariche al suo interno”. La sentenza meriterebbe una trasmissione in tv a reti unificate.
Ricordo che presidente di quel Collegio era Patroni Griffi e l’ estensore, Lamberti.
I giudici hanno dovuto ammettere che un divieto chiaro, per alcune categorie non c’è, pertanto, i militari possono iscriversi ad un partito politico. Fatto che, nella “Prima Repubblica”, ove mai ci fossero stati giudici così audaci di scrivere una cosa simile, avrebbe provocato un terremoto del 10° della Scala Mercalli.
Ma, attenzione, non possono avere cariche o incarichi politici in quanto, da quel momento, dovrebbero pubblicamente manifestare la propria opinione politica.
Tradotto: puoi iscriverti rimanendo nell’anonimato e nel silenzio.
Nella sentenza è rimarcato, ancora una volta, l’incapacità di scrivere le leggi se è vero che, la legge citata (Codice dell’Ordinamento Militare, d.lgs n. 66/2010) ove all’art. 1483, si prevede un divieto assoluto di manifestare idee politiche e svolgere attività ruoli in ambito politico, vi sono alcuni articoli di senso diametralmente opposti come l’art. 1465, che sibillinamente statuisce: “Ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini. Per garantire l’assolvimento dei compiti propri delle Forze armate sono imposte ai militari limitazioni nell’esercizio di alcuni di tali diritti, nonché l’osservanza di particolari doveri nell’ambito dei principi costituzionali”.
Nella sentenza, i giudici si chiedono se “possa essere costituzionalmente legittima una legge che imponga una radicale elisione di tale diritto, il Collegio osserva che la regula juris costituzionale di base è nel senso dell’assoluta identità di condizione giuridica del civis in armi rispetto agli altri quanto alla facoltà di iscriversi a partiti”. In buona sostanza, si paventa una incostituzionalità di una eventuale legge che limiti i diritti politici ai militari.
Ma questo contrasta vivamente con quanto dispone la Costituzione!
È proprio l’art. 98, III comma, a prevedere una limitazione per legge per alcune categorie di lavoratori.
Ma i giudici amministrativi non sembrano voler credere a quanto si legge nell’art. 1483, più volte citato, in quanto, si legge in sentenza: “… la dizione legislativa secondo cui “Le Forze armate debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche” non è idonea a sorreggere le conclusioni cui perviene la difesa erariale, proprio in quanto la disposizione non menziona in alcun modo il singolo militare né, tanto meno, ne perimetra in senso riduttivo la libertà, costituzionalmente presidiata, di associazione a fini politici”.
Più avanti il senso del ragionamento si fa più chiaro secondo cui, “… allorché il legislatore ha inteso escludere in toto il diritto di iscrizione a partiti politici, lo ha fatto con ben altra chiarezza dispositiva: si ponga mente all’art. 114 della l. n. 121 del 1981, la cui efficacia è stata più volte prorogata ma che allo stato non è più vigente, secondo il quale “Fino a che non intervenga una disciplina più generale della materia di cui al terzo comma dell’articolo 98 della Costituzione, e comunque non oltre un anno dall’entrata in vigore della presente legge, gli appartenenti alle forze di polizia di cui all’articolo 16 della presente legge non possono iscriversi ai partiti politici”.
Quindi: “In conclusione, la mera iscrizione di un appartenente alle Forze Armate ad un partito politico costituisce, allo stato attuale della legislazione, un comportamento ab imis lecito che in nessun caso può essere stigmatizzato dall’Amministrazione militare”.
Poi la precisazione: “Conclusioni frontalmente diverse, invece, debbono essere raggiunte ove il militare non si limiti alla mera e per così dire “statica” iscrizione ad un partito, ma spenda una condotta politicamente “dinamica” mediante l’assunzione di cariche all’interno di una formazione politica”.
Per condotta “dinamica” si dovrebbero considerare anche le idee messe nero su bianco in un libro pubblicato anche senza ricoprire alcuna carica o attività all’interno di un partito perché sarebbero diffuse ad un vasto numero di cittadini.
Conclusioni.
Per i magistrati e polizia di Stato vi è un divieto di legge, costituzionalmente previsto, per l’iscrizione ad un partito politico e per partecipare attivamente o passivamente ad attività politiche.
Per i militari non vi è un divieto altrettanto chiaro, inserito in una legge ad hoc, ma divieti che però contrastano il tenore di altrettante norme di senso opposto.
E’ cura del Parlamento e delle forze politiche colmare questa incertezza perché in uno stato democratico le Forze Armate devono stare al di sotto della politica, al di fuori e garantire l’imparzialità ed indipendenza da ogni forma politica e, peggio, partitica.
Questa incertezza conferma lo stato dell’arte della politica italiana.
Una breve considerazione su quello che pensavano coloro che hanno scritto la Costituzione durante la stesura dell’art. 98.
Pres. Terracini: “La mia opinione è questa: sia ai cittadini in generale, come ai partiti politici (tranne quello che, trovandosi al potere, intenda mantenervisi indefinitamente, anche contro la volontà popolare) non può convenire che militari di professione — vale a dire: ufficiali e sottufficiali di carriera e ufficiali e agenti di polizia — siano iscritti ad un partito politico, e quindi siano tenuti ad una disciplina di partito. Questa è cosa, ripeto, che ai cittadini in genere non può convenire, e non può convenire nemmeno ai partiti che non si trovino al potere”.
Nobile: “Ripeto che non conviene a nessuno che i quadri delle Forze armate si mescolino alla politica. Esse devono servire a presidiare lo Stato, e pertanto debbono essere mantenute fuori e al disopra dei partiti politici”.
“dichiarassero la loro appartenenza ad un partito politico o, peggio, svolgessero attività politica che cosa potrebbe succedere.”
Sta già succedendo da anni….se i politici possono nominare nel CSM 1/3 …vuol dire che la politica è già dentro la magistratura per non parlare di coloro che non dichiarano la loro fede politica ma che operano di nascosto per la loro idea politica…è dal ’43 che erano nei posti chiave e oggi finalmente si possono dichiarare perchè governati da una destra post fascista.
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