Un rapporto choc di Human Rights Watch mostra guardie di frontiera saudite uccidere centinaia di richiedenti asilo etiopi al confine con lo Yemen

(DOMENICO QUIRICO – lastampa.it) – Al Thabit e Al Raqw: segnatevi questi nomi, ripeteteli fino a fissarli a memoria. Altrimenti saremo, ancora una volta, complici e, di dimissione in dimissione, una sola cosa impareremo: la nostra radicale impotenza. Sono, questi nomi, due campi per migranti, per fuggiaschi, per clandestini, etiopi soprattutto, a un passo dalla frontiera tra Yemen e Arabia saudita, crocevia di disperazione e speranza sotto un cielo aperto, indecifrabile, infinito. Sono luoghi in cui si compiono delitti, dove il male non è solo una nozione metafisica o religiosa. È una realtà tangibile biologica, psicologica, e storica. Lì il male si tocca, il male porta dolore. Il male ha dei colpevoli.
Quante siano le vittime, quanti uomini donne bambini siano state assassinate a colpi di mortaio, granate e raffiche di mitraglia dalle guardie di frontiera saudite, dopo un’ora o cento anni di vita, non si sa. Centinaia di certo. La vita per un istante, in mare aperto, a tutte le vele spiegate, sotto l’impeto del vento .. e poi subito afflosciata affondata, a picco. Come una pietra. È vero: i migranti non possiedono che la propria morte, l’esperienza della loro morte, per spendere la realtà della vita, per esprimerla, per portarla avanti non hanno altro modo che perderla.
Ricapitoliamo il capo di accusa: derelitti del corno d’Africa soprattutto dall’Etiopia, molti sfuggiti alla guerra civile nel Tigrai, da Gibuti passano in Yemen, lo risalgono e tentano di passare la frontiera con l’Arabia saudita. Ancora storie di partenze, non poter ricordare qualcosa di bello, un aspettarsi qualcosa che sanno non si verificherà mai. Non attraversano nulla che non conoscano già: perché anche qui c’è la guerra, la fame, le stragi, il riconoscibile dolore di ogni giorno. Qui incontrano i loro assassini, i soldati sauditi. Siamo di fronte a un delitto dunque, non colposo, come per la motovedetta che arriva in ritardo a soccorrere il barcone nel Mediterraneo. Qui siamo di fonte a omicidi volontari, pianificati, decisi in vertici regali e governativi, eseguiti con quel sovrappiù che l’aguzzino esecutore, le guardie di frontiera saudite, aggiunge come violenza fredda, ragionata, consapevole di godere di una impunità. Giuridica e perfino teologica vista la natura del regime saudita di cui è tuttora profeta il settecentesco Abdul Wahab, il Lutero dell’Islam che gli altri sacerdoti cacciarono da la Mecca per il suo fastidioso fanatismo puritano.
Il capo di accusa non è di tipo indiziario, non nasce da sospetto, o riporta con disinvolta leggerezza voci che possono essere interessate e calunniatrici. Ci sono le prove. Un voluminoso e minuzioso rapporto di Human Rights Watch con 350 filmati, immagini satellitari e non, di almeno venti stragi, testimonianze verificate di sopravvissuti, foto di ferite orrende inferte ai migranti e passate al vaglio di medici patologi. Già lo scorso anno avevano lanciato l’allarme i relatori delle nazioni Unite che parlavano su questa frontiera di centinaia di vittime.
Sappiamo chi è il colpevole: nome cognome titoli fotografie recenti in cui è riconoscibilissimo, domicilio confermato a Riyad per cui non potrà negare di non saper nulla della accusa come altri criminali di Paesi purtroppo riveritissimi. Ha precedenti pesanti, gravi, provati anche questi, che ne ispessiscono la tendenza a delinquere e confermano l’attendibilità delle nuove accuse. Ha fatto ammazzare e tagliare a pezzi da alcuni suoi sgherri, come si usava alla corte di Atreo, un oppositore, uno che ne criticava blandamente e educatamente le bugie moderniste.
E poi c’è la guerra illegittima, criminale, scatenata contro lo Yemen, lo Yemen degli eretici huthi, combattuta con bombardamenti indiscriminati di scuole, città, ospedali e il deliberato piano di affamare con un blocco spietato, la popolazione privandola di cibo e medicine.
Ecco: il massacro dei migranti alla frontiera appare il perfezionamento criminale, il seguito omicida che il nostro regale Assassino ha fatto seguire all’altro delitto. Come se l’impunità che gli abbiamo assicurato, fingendo di non sapere anzi rinnovandogli riverenze e buoni affari, non potesse che trovare assoluzione definitiva in un altro delitto perfetto. Sa che non ci mancano le prove, il Magnifico di Riyad, ci manca la fermezza. Sa, come altri della sua risma di cui siamo oscenamente amici, che non usiamo provare simpatia per le vittime che non ci appartengono, simpatia nel senso che gli stoici davano a quella parola, ovvero quella forza emotiva che unisce le cose e gli spiriti e dà loro coerenza. Che fa sì che gli elementi separati, ovvero le vittime, diventino universo.
L’assassino è dunque il principe Bin Salman. Sappiamo di addentrarci con questi nomi e cognomi in acque pericolose. Perchè il principe e le altre criminali petro satrapie della zona sono dei Nostri, sono il pilastro della “stabilità del medio oriente”. Ovvero ci servono. Gli inglesi hanno passato i sauditi, gli Emirati eccetera agli americani come si cede la licenza di una tabaccheria o di un taxi. Il principe spende, compra, investe, finanzia promette mondiali di calcio, concede perfino la patente alle donne. Che volete di più? Modernizza! È lui il Rinascimento addirittura, garantisce qualcuno. L’importante che ci porti soldi in tasca e benzina al distributore. Uffa questa storia del petrolio! Eppure quando vogliamo siamo pronti a tutto per chiudere il rubinetto a quelli che definiamo cattivi e trovare altri fornitori.
Riyad nega che i suoi soldati abbiano ucciso dei migranti. Ma basta un semplice no di fronte alle accuse di stragi di decine di persone che gli scafisti del deserto yemeniti hanno avviato sulle piste dei contrabbandieri che da Sadah in Yemen portano a Al Jawt? Alle prove dell’utilizzo contro di loro di mortai e armi leggere dopo averli ricondotti al confine? In alcuni casi ci sono testimonianze che fanno gemere: alle vittime è stato chiesto con beffa atroce a quale degli arti preferivano essere colpiti. Ci accontentiamo di questo sprezzante e frettoloso diniego? Non vorremmo che la risposta sia nell’annuncio del governo britannico che il premier Sunak riceverà «quanto prima» il caro principe a Londra.
pecunia non olet
e da quel tempo non è cambiato niente;
poi l’articolista dimentica che i suoi datori di lavoro,
producono e vendono armi proprio a quelli che lui chiama assassini
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Cosa dire del nostro bin Rignan , che tanti in Italia ammirano e considerano un grande politico, mentre invece dovrebbe essere ostracizzato in un paese estero a sua scelta?
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Sorga spontanea una sola domanda, per la quale ricollegandomi a quel che scrive sopra Kayakmare, si esigerebbe decisa una risposta: ma il bullo provincialotto di Rignano… ‘ste cose le legge? Perché andrebbe spoottanato in TV bene bene, e vedere se gli passa quel sorrisetto ebetino dalla faccia (oddio… ‘faccia’, vabbè).
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