LE NUOVE NORME DEL PIANO REGOLATORE – Non servirà più il sì del Comune per aprire B&B in centro storico. L’urbanista: “L’impatto sarà devastante. In Ue si fa il contrario”

(DI VINCENZO BISBIGLIA E LEONARDO BISON – ilfattoquotidiano.it) – Il centro di Roma è sul punto di diventare una “grande, storica Disneyland, funzionale solo a un turismo di massa, mordi e fuggi”. La considerazione, inserita nella chiusa di una dura lettera che la Rete di Associazioni per una Città Vivibile – che raccoglie vari comitati di quartiere e tecnici – ha consegnato nei giorni scorsi al sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, sembra inquadrare alla perfezione gli effetti delle modifiche alle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale della Capitale, già approvate dalla Giunta capitolina nel silenzio più totale e che alla ripresa dei lavori a settembre sarà al vaglio dei consiglieri comunali. Un documento di 136 pagine – guarda caso approvato proprio alla vigilia dell’invasione dei pellegrini per il Giubileo 2025 – in tre passaggi chiave spalanca le porte alla giungla dei bed and breakfast e delle case vacanze in centro, permettendo d’ora in poi a chiunque possieda un appartamento nel cuore della Capitale di trasformarlo in un’attività simil alberghiera, senza bisogno di alcuna autorizzazione dal Comune. Con effetti descritti più volte anche su queste pagine: svuotamento progressivo dei centri urbani, aumento dei prezzi e caro-affitti.

La modifica chiave è prevista dal comma 1 dell’articolo 6 del documento, che ridefinisce le categorie della destinazione d’uso degli immobili. È qui che si compie la “rivoluzione” di Gualtieri in tema di strutture ricettive: bed and breakfast, affittacamere e case per vacanze vengono inclusi nella categoria funzionale “residenziale”, mentre nel regolamento precedente, non menzionati, cadevano implicitamente tra le “strutture ricettive extra-alberghiere”, classificate come “turistico-ricettive”. I b&b verrebbero così equiparati alle abitazioni comuni e a quelle collettive (convitti e conventi) e sociali (studentati e case per anziani). E all’interno della stessa categoria funzionale, il cambio d’uso è “sempre consentito”.

Se, quindi, per trasformare un appartamento in un ufficio o in un laboratorio, oppure un villino in un albergo “ufficiale”, servirà il permesso, basterà invece nascondersi dietro la definizione di “bed and breakfast” per avviare un’attività imprenditoriale senza limiti. Ciò che era possibile solo con le piattaforme come Airbnb, che agivano in un vuoto legislativo, diviene legittimato e normato, consentendo cambi d’uso strutturali, con buona pace delle circa 57 mila famiglie in emergenza abitativa nella Capitale, di cui 14 mila in lista per una casa popolare.

Non è tutto. La nuova norma tende la mano ai futuri gestori anche in altri due punti. All’articolo 25, commi 6 e 15, infatti, la Giunta capitolina introduce la possibilità, nel Centro storico, di “consentire l’ampliamento” e “gli accorpamenti delle unità immobiliari” per le “strutture ricettive alberghiere ed extra-alberghiere, ivi compresi affittacamere e case per vacanza”, anche nei piani superiori al piano terra e al mezzanino. Disposizione che per le associazioni rappresentano “un cavallo di Troia per la trasformazione delle unità immobiliari in strutture alberghiere”.

la professoressa Barbara Pizzo, docente di Urbanistica alla Sapienza Università di Roma che da anni si occupa delle trasformazioni urbane in relazione alla rendita, ha studiato l’atto della giunta Gualtieri e conferma i timori, spiegando al Fatto che, con queste nuove norme, “chiunque possiede una casa sarà ulteriormente spinto a usarla in qualsiasi modo diverso da quello residenziale ordinario”. “Se passasse questa variante – aggiunge – l’impatto sarebbe enorme su tutta la città: le persone che vivono in case che saranno trasformate in qualcos’altro dovranno spostarsi, e ciò avrà impatti anche sulle periferie”. Difende invece il provvedimento uno dei suoi relatori principali, l’assessore capitolino all’Urbanistica, Maurizio Veloccia, che si trincera dietro le direttive nazionali. “I commi sono stati riscritti sulla base delle normative nazionali e regionali – spiega al Fatto –. Noi siamo molto sensibili al fenomeno e vorremmo contrastarlo, ma non è possibile farlo da punto di vista urbanistico, ma solo con un intervento specifico del governo centrale come per Venezia”.

L’ultima normativa nazionale risale alla legge 135 del 2001, quando il fenomeno delle piattaforme digitali non esisteva. Un buco legislativo mai sanato che ha permesso il proliferare della situazione attuale.Di recente c’è solo la sentenza della Cassazione, la 21562 del 2020, che ritiene coerente “l’assimilazione dell’attività di affittacamere a quella imprenditoriale alberghiera”. Eppure la variante capitolina procede in segno opposto. “Roma agisce in direzione inversa a quella di tutte le grandi capitali d’Europa”, nota ancora Barbara Pizzo, che si chiede se l’amministrazione abbia coscienza del fatto che sta “mettendo la casa e il diritto all’abitare in competizione con altre forme d’uso del patrimonio”. Negli ultimi 10 anni infatti, man mano tutte le città turistiche d’Europa hanno introdotto norme e limitazioni per evitare il proliferare di affitti turistici, che creano fenomeni speculativi palpabili, oltre a espulsione dei residenti. L’esempio di scuola è Lisbona, il cui centro rappresenta un caso di studio per gli effetti della gentrificazione. Già nel 2018 la capitale portoghese contava circa 50 mila appartamenti su Airbnb che hanno generato un reddito annuo di quasi 300 milioni di euro, di cui 24 milioni di euro relativi a un gruppo di appena 24 gestori e il fenomeno ha portato una crescita dei prezzi degli immobili del 60%. A Roma, con le condizioni di vuoto normativo si registrano sulla piattaforma 26.200 annunci, prima città d’Italia, con proprietari che gestiscono, 30, 50 o anche 250 annunci, a fronte di 12.306 strutture ricettive registrate dal Comune per un totale di 110 mila posti letto (sono 700 mila in Italia).

In una situazione simile, il sindaco di Firenze Dario Nardella – politicamente vicino a Gualtieri – recentemente ha adottato un indirizzo diverso, anche sulla spinta di una proposta di referendum popolare. Il 1° giugno ha annunciato lo “stop all’affitto breve in area Unesco” e poi ha annunciato “una ‘articolazione giuridica’ nella destinazione ‘residenziale’, quella per affitti turistici brevi” per rendere più difficili i cambi d’uso. Ma l’esperimento evidentemente non interessa al Campidoglio. Insomma, nella Disneyland di Gualtieri sono benvenuti investitori e turisti: chi ha bisogno di un tetto può anche sloggiare in periferia.