Il segretario Cgil replica alla premier: «Il merito della protesta è che le diseguaglianze crescono, il reddito a 9 euro è base di discussione. Troppi contratti pirata, riformiamo la rappresentanza»

LaPresse

(MARCO ZATTERIN – lastampa.it) – Maurizio Landini non porge l’altra guancia. A Giorgia Meloni che accusa la sua Cgil di fare manifestazioni contro l’esecutivo «a priori» e «prive di merito», risponde secco. «Se il governo, anziché chiudersi nei resort, ascoltasse quel che dicono le persone che non possono andare in vacanza e quelle che hanno dovuto ridurle – afferma – capirebbe sin d’ora perché la piazza del 7 ottobre a Roma sarà strapiena». I motivi, sono presto elencati, assicura.

«In questo anno di governo non ci sono state risposte alle nostre piattaforme solo incontri finti e le diseguaglianze sono aumentate». Il segretario della Cgil vede «salari e pensioni in calo, profitti in crescita, prezzi e tariffe senza controllo, tagli alla sanità e all’istruzione, nulla sulle pensioni, precarietà e povertà che crescono, sino al taglio degli investimenti del Pnrr». E in questo, aggiunge, «il governo vuole stravolgere anche la costituzione con l’autonomia differenziata, il presidenzialismo e l’attacco all’autonomia della magistratura». A questo punto, prende fiato e sbuffa: «E se non è merito questo, non saprei che dire».

Si, ma la finanziaria non c’è ancora.
«Il momento di mobilitarsi è questo. Vogliamo indicare al governo e al paese la via maestra del cambiamento.

Meloni assicura anche che «la mia linea è concentrare tutte le risorse sui salari più bassi». E che il salario minimo non risolve la questione del lavoro povero.
«Chi per vivere per lavorare, sa bene che con cinque o sei euro l’ora si fa la fame. Per questo bisogna fissare ora un salario minimo orario sotto il quale nessuno può essere pagato, insieme ad una legge sulla rappresentanza che dia valore generale ai contratti, cancellando così i contratti pirata. Certo che bisogna contrastare altri fenomeni».

E il governo?
«Ha allargato il part time involontario, il ritardo nei rinnovi contrattuali e la precarietà. Ma il governo con le sue scelte ha allargato il lavoro povere e la stessa precarietà, reintroducendo i voucher, liberalizzando i contratti a termine e il sub appalto a cascata, tagliando il reddito di cittadinanza tagliando il fondo affitti e non intervento con il sistema bancario sull’aumento dei mutui».

Detto questo, come le è sembrato il vertice politico di venerdì sul lavoro?
«È certamente importante se il governo e l’opposizione assumono come elemento prioritario la questione dell’emergenza salariale, di come aumentare le retribuzioni e introdurre un salario minimo. Bisogna però vedere se, alla prova dei fatti, sono in grado di elaborare soluzioni efficaci e risposte concrete alle lavoratrici e ai lavoratori».

Quali sono le vostre priorità?
«La lotta all’evasione fiscale, il superamento del lavoro povero e della precarietà, in modo da dare un futuro a tutti ed in particolare ai giovani. Si comincia da qui. Poi ci sono la Sanità e l’istruzione».

Sul lavoro Giorgio Meloni si è rivolta a Villa Lubin e a Brunetta.
«Il governo non può scaricare i problemi sul Cnel. Deve assumersi in prima persona la sua responsabilità attraverso un confronto con i sindacati confederali rappresentativi e le parti sociali. Se no, a che serve avere un ministro del Lavoro?»

Le pare che la premier stia prendendo tempo?
«Non so cosa stia pensando. So che il Cnel ha una funzione consultiva. Non può sostituire né il governo, né la dialettica politica del Parlamento, tanto meno l’autonomia negoziale delle parti sociali. È il governo che deve rispondere alle richieste che abbiamo avanzato da tempo».

Si perdono due mesi, secondo lei?
«Il rischio vero è che non si risolvano i problemi. Abbiamo proposte precise. Ciò che il governo deve fare è aprire una trattativa vera con il sindacato confederale sul rinnovo di tutti i contratti nazionali scaduti, a partire da quelli pubblici».

Sono quattro miliardi e passa.
«Anche di più. Tra il 2022 e il 2024, avverte l’Istat, l’inflazione è salita del 16 per cento. Quello è il problema che va affrontato per difendere il reale potere d’acquisto dei salari».

Volete recuperare tutto il 16 per cento
«Il nostro ruolo è difendere il valore generale dei salari. Sono bassi, non lo dico solo io. Si dovrebbe stabilire che gli aumenti dei contratti nazionali non vengano tassati. Invece parlano di ridurre la tassazione sugli straordinari e la contrattazione di secondo livello, che riguarda solo il 25 per cento delle imprese. Non è quello di cui abbiamo bisogno. Lo strumento universale è il contratto nazionale ed è qui che vanno concentrati gli incentivi».

C’è un problema di rappresentatività?
«È proprio il Cnel a ricordare che 207 contratti nazionali firmati da Cgil, Cisl e Uil rappresentano il 97 per cento dei lavoratori, mentre gli accordi sono quasi mille. Vede, vuol dire che gli altri sono contratti pirata. Per cancellarli, il governo non può legittimità i sindacati senza rappresentanza».

A questo legate il salario minimo
«Serve una legge che permetta di attuare l’articolo 39 della Costituzione con il diritto dei lavoratori di votare sui contratti che li riguardano».

Nove euro vanno bene?
«E’ una base di discussione da cui partire. Anche su questo ci saranno le consultazioni e chiederemo un voto ai lavoratori».

Perché non cominciare subito con l’introdurre una soglia minima?
«Il salario minimo non basta. Bisogna aumentare i salari per tutti. Il che implica stanziare le risorse adeguate e intervenire sulla indicizzazione automatica reale delle detrazioni da lavoro e pensione, cioè la restituzione del fiscal drag. Non solo. Bisogna rendere strutturale il taglio del cuneo contributivo e concentrare tutti gli incentivi a sostegno della contrattazione collettiva nazionali».

Vuole punire chi resta fuori?
«Dico che chi non rinnova i contratti dovrebbe non essere ammesso agli appalti pubblici o non avere accesso ai fondi statali. Servirebbe anche una indennità di vacanza contrattuale, cioè in assenza di contratto c’è meccanismo di copertura del reddito».

È passata la delega sul fisco. Come andiamo?
«Non la condividiamo e non risponde alla piattaforma unitaria. Invece che contrastare l’evasione che ammonta a 100 miliardi l’anno si continua a parlare di flat tax e condoni. Si insiste su sistemi sostituivi o agevolati. Si riduce la tassazione sui profitti che, a differenza dei salari, sono aumentati. Si taglia l’Irap che serve a finanziare la sanità pubblica. Così aumenta la sfiducia dei cittadini onesti, che sono la maggioranza, verso le forze politiche».

In che modo?
«Vedo una contraddizione tra la legge delega sul fisco che penalizza ulteriormente il lavoro dipendente e i pensionati su cui grava mediamente il 40 per cento di imposizione, mentre sulle rendite finanziarie è il 20 per cento e sul lavoro autonomo il 15, a parità di reddito. È una ingiustizia. Una soluzione è ripristinare il principio della progressività».

La tassazione delle banche le è piaciuta, però.
«Se con le banche si vuole indicare che non ci sono tabù, bene. In realtà a me sembra uno specchietto per le allodole, per come è stata concepita e per la scarsa quantità risorse che si liberano. Non sono solo le banche ad aver fatto extraprofitti. Occorre una strategia più larga e capire dove finiranno queste risorse».

Il governo ha alleggerito il Pnrr perché faticava ad attuarlo.
«Anche qui, nessun confronto. Sono preoccupato dai tagli per la tutela del territorio, l’efficientamento energetico, l‘uso dei beni confiscati alla mafia, la sanità. Sono segnali negativi per il Paese, in particolare per il Mezzogiorno».

Come si immagina la piazza del 7 ottobre?
«Mi aspetto una grande manifestazione intergenerazionale che apra un processo diffuso di partecipazione attiva, nei luoghi di lavoro e sul territorio. Il momento in cui le persone diventano protagonista del cambiamento, attuando la Costituzione, nell’indisponibilità ad accettare l’attuale livello di ingiustizia sociale. Chiederemo di vivere lavorando dignitosamente, mettendo al centro la questione della Pace per fermare questa guerra assurda».

A Ferragosto si chiede sempre se sarà un autunno caldo.
«Avete scritto che luglio è stato il mese più rovente da anni. Il problema è che il clima è già troppo caldo e c’è troppa gente che lavora e non arriva alla fine del mese. Dobbiamo ribellarci, a questo»

Sono due mesi che avete preso la rincorsa.
«Siamo partiti. Dopo le manifestazioni unitarie di maggio, abbiamo fatto due scelte. Una è stata quella di avviare una consultazione straordinaria sui luoghi e territori di lavoro, chiedendo a tutti se sono d’accordo con nostre proposte e se sono disposti a impegnarsi sino alla mobilitazione generale. Secondo, abbiamo organizzato con una partecipazione vastissima del mondo dell’associazionismo, laico e cattolico, la manifestazione del 7 ottobre».

Se non vi ascoltano?
«Chiaro che dovremmo decidere come sostenere la nostra azione con tutti gli strumenti democratici. Non abbiamo intenzione di fermaci. Serve il salario minimo e la legge sulla rappresentativa, per cominciare. E sulla precarietà, se non cambiano le leggi sui voucher e il tempo determinato, dobbiamo essere noi a cancellare gli strumenti che bruciano il futuro dei lavoratori».

Pensate a un referendum?
«Valuteremo tutti gli strumenti, anche il referendum. Non escludo nulla».