(MATTIA FELTRI – lastampa.it) – Non vorrei ripartire con la perfetta equiparazione fra comunismo e nazismo – condivisa da molti che abbiano sperimentato le carezze dell’uno e dell’altro, da Vasilij Grossman a Czesław Miłosz a Imre Kertész a Ágnes Heller e un bel po’ ancora – col rischio già sperimentato di finire col prendere sberle da destra e da sinistra. Dunque no, non lo dirò. Soltanto sono parecchio affascinato dal rapido decorso dei baffi di Giorgia Meloni: dal baffetto di Hitler al baffone di Stalin. Da un paio di giorni a questa parte, per il prelievo fiscale aggiuntivo sugli extraprofitti delle banche e per la promessa di correggere le tariffe dei biglietti aerei, si è presa della socialista, della comunista e della sovietica sul Financial Times, dall’amministratore delegato di Ryanair, Eddie Wilson, e da sparsi e diffusi liberali italiani. A sinistra invece no: stalinista non gliel’hanno detto (e anzi, stalinisti sono loro per Antonio Tajani a causa del reddito minimo). A sinistra lei rimane mussoliniana, fascista, nostalgica, negazionista e sta trascinando il paese in una nuova sperimentazione di ventennio mascelluto. Se n’è letta pure una fantastica, direi a opera di Luciano Capone del Foglio, a proposito di Adolfo Urso, ministro del Made in Italy, ormai molto ingolosito e propenso a mettere subito mano agli extraprofitti dei petrolieri: Adolfo Urss. E su questa magnifica comunione fra un nome nero e un cognome rosso, il dibattito potrebbe esaurirsi. E infatti spero non abbiate nulla da obiettare se, fra la Meloni nazista e la Meloni comunista, farei fatica a scegliere: già Meloni in sé mi basta e avanza.