La primogenita del Cavaliere chiude la polemica sulla giustizia: «Stima e rispetto per Meloni». Il berlusconismo è finito e la premier gioca una partita lontana dalle vecchie dinamiche

Giorgia e Marina, la strana tregua

(FLAVIA PERINA – lastampa.it) – Servirà un po’ di tempo per capire se Marina Berlusconi, chiudendo la polemica sulla giustizia con parole di «stima e rispetto» per Giorgia Meloni, firma una capitolazione alla legge del più forte, di chi comanda in virtù del consenso popolare, o piuttosto esercita la capacità femminile di evitare battaglie perdenti. Per molto tempo ci siamo chiesti come avrebbero usato il potere le donne e come avrebbero gestito la cruciale categoria politica del conflitto e ancora non abbiamo una risposta. Per questo è difficile valutare con esattezza la conclusione dello spettacolo in quattro atti a cui abbiamo assistito questa settimana. Martedì la lettera di fuoco della presidente Fininvest contro i pm che continuano a «infangare» la memoria di suo padre, con la richiesta al governo di «qualche passo importante» per fermare la persecuzione. Mercoledì la risposta di ghiaccio di Giorgia Meloni: la signora Berlusconi «non è un soggetto politico». Ieri l’inaspettata ritirata di Marina con una nota dal tono assolutamente remissivo: ho parlato solo «come figlia», non ho nessuna intenzione di suggerire cose al governo. Subito dopo il placet della premier alla tregua: «Non c’è mai stato un caso».

In altri tempi, quando c’erano gli uomini al posto di Marina e Giorgia, un analogo scontro finì letteralmente ai materassi, con la pubblica lite che tutti ricordiamo tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini culminata nel «Che fai mi cacci» e poi in una scissione e un voto di sfiducia che solo per l’abilità di ufficiale arruolatore di Denis Verdini non si concluse con la bocciatura parlamentare del Cavaliere. E pure dopo, agli esordi della maggioranza di Meloni, il modello molto maschile di Brancaleone alle Crociate rischiò di far saltare tutto sull’onda del pizzino berlusconiano contro la neo-premier «prepotente, arrogante, supponente» con relativa replica: «Manca un punto, non sono ricattabile».

La storia è sempre quella, e al centro dello scontro c’è come sempre la questione giustizia, con due differenze di peso. La prima l’abbiamo detta: il potere adesso è in mano alle signore, che hanno un altro modo di regolare i conti: più esplicito ma al tempo stesso più furbo (vedremo presto se la resa di Marina è davvero tale o se ci sarà un quinto atto). La seconda, determinante: Giorgia Meloni ora ha il coltello – cioè i numeri parlamentari, i ministri, il controllo delle cose, la sovrintendenza sulle ambizioni dei reduci forzisti – dalla parte del manico e chi si illudeva che agisse in continuità con il berlusconismo dovrebbe cominciare a esercitare il dubbio. Di quell’eredità le interessa una sola parte, cioè i voti, che peraltro si è già presa in larga parte.

E dunque la sensazione è che questa settimana di battaglia sulle parole di Carlo Nordio e sull’inchiesta toscana contro Marcello dell’Utri, gli editoriali di fuoco, le interviste schierate, le iniziative parlamentari, la richiesta di ispezione alla Procura di Firenze avanzata da FI, le interrogazioni, le intemerate televisive e soprattutto le molte voci del centrodestra che hanno trattato la lettera di Marina Berlusconi come l’input di una leader, siano la risacca di un mondo che ancora non ha capito che il berlusconismo è finito e che Giorgia Meloni gioca una partita sua, lontana dai riflessi pavloviani ai quali spesso risponde il Centrodestra. Lo schema dei Brancaleoni che partono lancia in resta in difesa di battaglie che ritengono “del Capo” per poi essere sconfessati dalla premier, talvolta con brutalità, sta diventando una costante della legislatura e racconta bene il deficit di aggiornamento di parlamentari, giornalisti, intellettuali amici.

Piccolo elenco. La reprimenda sul caso di Alfredo Cospito («Invito tutti, a partire dagli esponenti di Fratelli d’Italia, a riportare i toni al livello di un confronto franco ma rispettoso») mentre l’intera maggioranza si dedicava da giorni al linciaggio dei parlamentari Pd che avevano visitato l’anarchico in carcere. La pubblica smentita alla linea La Russa sulla denuncia per stupro di suo figlio Leonardo Apache («Non sarei intervenuta nel merito della vicenda, tendo a solidarizzare per natura con una ragazza che denuncia»), pure quella pronunciata dopo una valanga di interviste e commenti del mondo di destra schierati in difesa del presidente del Senato. Il Niet, durissimo, a Carlo Nordio sul concorso esterno in associazione mafiosa, scandito con la massima solennità a Palermo e utilizzato anche come una drastica sconfessione delle decine di voci della coalizione strillavano da giorni sull’inconsistenza di quel reato e sull’opportunità di rivederlo. E infine il declassamento a soggetto “esterno” della primogenita del Cavaliere, con il rifiuto di offrire una sponda ai molti che avevano già messo l’elmetto per trasformare le parole di Marina in azione politica.

L’ultimo strappo è senza dubbio il più consistente, e dovrebbe risultare illuminante anche per quella parte della destra restia ad abbandonare il vecchio canone, forse convinta che poco sia cambiato o forse ancora poco consapevole delle responsabilità che toccano a un partito di maggioranza relativa, assai diverse da quelle di una minoranza del quattro o cinque per cento. Marina Berlusconi probabilmente se ne è resa conto e per il momento ha scelto la tregua, prima o poi dovranno accorgersene pure gli altri.