Le persone con una bassa retribuzione coincidono spesso con quelle più vulnerabili e senza contratti a tempo pieno. Il quadro della povertà nonostante l’impiego appare così ancora più drammatico

(di Chiara Saraceno – repubblica.it) – “Non vogliamo diventare come l’Unione Sovietica”, ha incongruamente dichiarato il vicepresidente del Consiglio Tajani per spiegare i motivi del governo nel sostenere l’emendamento soppressivo della proposta di legge delle opposizioni tesa ad introdurre un salario minimo di 9 euro lordi all’ora. Come se l’introduzione di un minimo legale, presente in molti Paesi europei e Ocse certamente non imputabili di vetero-comunismo, impedisse la contrattazione e la diversificazione verso l’alto.

Sembra che la maggioranza di governo, a partire dalla presidente del Consiglio e dai leader di partito, viva in un mondo che non esiste, non solo perché i regimi comunisti sono finiti da un pezzo e non c’è all’orizzonte alcun rischio che ritornino, ma perché ignora i milioni di lavoratori che, pur lavorando, non riescono a guadagnare abbastanza da sottrarsi alla povertà.

Eppure, salari da fame, che non consentono di vivere dignitosamente, sono in contrasto con l’articolo 36 della Costituzione. Proprio per questo una recente sentenza del tribunale di Milano ha condannato una società di servizi a risarcire sostanziosamente un lavoratore che per contratto riceveva un compenso di 3,96 euro l’ora. Altre sentenze hanno colpito contratti che non arrivavano a 6 euro l’ora. Situazioni simili sono tutt’altro che rare in Italia.

Secondo l’Istat, compensi orari inferiori ai 9 euro lordi riguardano almeno 3 milioni e mezzo di lavoratori, concentrati tra giovani di ambo i sessi e donne di ogni età, tra le lavoratrici e i lavoratori del turismo (servizi di alloggio, ristorazione, agenzie di viaggio), della logistica, ma anche tra chi lavora nelle attività artistiche, sportive di intrattenimento, ove, accanto ai compensi stellari di pochi, vi sono quelli spesso bassissimi nei servizi di supporto e tra gli operai in ogni settore.

Nel Mezzogiorno questa situazione riguarda un lavoratore/lavoratrice su quattro, come ha denunciato l’ultimo rapporto Svimez, spingendo chi può ad emigrare, sguarnendo così di risorse preziose quelle regioni.

Sempre Istat documenta che non si tratta solo di contratti pirata, ma anche di contratti firmati dai sindacati confederali, a dimostrazione del fatto che non basta che la maggior parte dei lavoratori sia coperta da contratti collettivi nazionali a garantire compensi decorosi.

Solo di recente i sindacati hanno iniziato una riflessione autocritica, che li ha portati a non osteggiare più l’introduzione di un salario minimo legale, pur con qualche distinguo.

Se si aggiunge che i lavoratori a bassa retribuzione coincidono spesso con i più vulnerabili, e non standard (che non hanno cioè contratti a tempo pieno e a tempo indeterminato), il quadro della povertà nonostante il lavoro appare ancora più drammatico. Altro che fantasticare su “salari ricchi” legati allo sviluppo come ha fatto Tajani. Qui siamo di fronte a salari poveri che spesso sono anche parziali.

Rispetto a tutto ciò, a quello che significa per la vita delle persone, per la loro possibilità di condurre una vita dignitosa, fare progetti, dar seguito all’eventuale desiderio di avere figli, la furia soppressiva del governo non dice nulla, nascondendosi dietro la fantasia di un futuro meraviglioso e il presente della mancanza di fondi per attuare quella parte della proposta di legge delle opposizioni che prevede una compensazione per le imprese nella fase transitoria.

Un’ammissione che tuttavia stride a fronte non solo del ritorno dei vitalizi e dell’aumento dell’indennità dei capogruppo per far fronte all’inflazione, ma anche ai condoni fiscali e alla promessa di introdurne altri.

Eppure, un governo che, giustamente, rivendica la legittimità delle proprie decisioni sulla base del mandato elettorale, dovrebbe interrogarsi sul perché gli stessi sondaggi che confermano la persistenza della maggioranza relativa dei consensi, rilevano anche un consenso larghissimo alla proposta di introduzione di un salario minimo legale. A differenza della maggioranza di governo, anche i suoi elettori hanno esperienza diretta di quanto siano diffusi, e insopportabili, salari da fame.

Alle opposizioni spetta ora la responsabilità di ripresentare la loro proposta, con le eventuali modifiche e specificazioni, allo stesso tempo allargando il dibattito e il consenso nel Paese. Ma un governo responsabile, che ha tolto il reddito di cittadinanza in nome della dignità del lavoro, forse qualche domanda su come garantire questa dignità dovrà pure farsela.