La Costituzione della Repubblica afferma nell’articolo 104 comma 1: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. E nell’art. 101 comma 2: “I giudici sono soggetti […]

(DI PIERCAMILLO DAVIGO – ilfattoquotidiano.it) – La Costituzione della Repubblica afferma nell’articolo 104 comma 1: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. E nell’art. 101 comma 2: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. E nell’art. 112: “Il Pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”.

Queste tre disposizioni sono alla base dell’indipendenza della magistratura e la Corte costituzionale ha chiarito che, mentre l’indipendenza dei giudici è assicurata dalla loro soggezione soltanto alla legge, quella del pubblico ministero riposa sull’obbligatorietà dell’azione penale. Lo ha fatto nella sentenza n. 88 del 1991: “Va innanzitutto ricordato … quanto questa Corte ebbe ad affermare nella sentenza n. 84 del 1979, cioè che l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale a opera del pubblico ministero… è stata costituzionalmente affermata come elemento che concorre a garantire, da un lato, l’indipendenza del pubblico ministero nell’esercizio della propria funzione e, dall’altro, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale’; sicché l’azione è attribuita a tale organo senza consentirgli alcun margine di discrezionalità nell’adempimento di tale doveroso ufficio.

Più compiutamente: il principio di legalità (art. 25, secondo comma), che rende doverosa la repressione delle condotte violatrici della legge penale, abbisogna, per la sua concretizzazione, della legalità nel procedere; e questa, in un sistema come il nostro, fondato sul principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge (in particolare, alla legge penale), non può essere salvaguardata che attraverso l’obbligatorietà dell’azione penale.

Realizzare la legalità nell’eguaglianza non è, però, concretamente possibile se l’organo cui l’azione e demandata dipende da altri poteri: sicché di tali principi e imprescindibile requisito l’indipendenza del pubblico ministero. Questi e infatti, al pari del giudice, soggetto soltanto alla legge (art. 101, secondo comma, Cost.) e si qualifica come un magistrato appartenente all’ordine giudiziario collocato come tale in posizione di istituzionale indipendenza rispetto a ogni altro potere, che non fa valere interessi particolari ma agisce esclusivamente a tutela dell’interesse generale all’osservanza della legge (sentenze nn. 190 del 1970 e 96 del 1975).

Il principio di obbligatorietà e, dunque, punto di convergenza di un complesso di principi basilari del sistema costituzionale, talché il suo venir meno ne altererebbe l’assetto complessivo. Di conseguenza, l’introduzione del nuovo modello processuale non lo ha scalfito, ne avrebbe potuto scalfirlo. Qui, anzi, l’esigenza di garantire l’indipendenza del pm è accentuata dalla concentrazione in capo a lui della potestà investigativa, radicalmente sottratta al giudice”.

Queste affermazioni rendono ardua la possibilità di separare le carriere fra pubblici ministeri e giudici e di incidere sull’obbligatorietà dell’azione penale anche con riforme costituzionali, visto che si versa su un “punto di convergenza di un complesso di principi basilari del sistema costituzionale” che tali riforme andrebbero ad alterare.

L’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale implica il controllo da parte del giudice sull’eventuale inerzia del pubblico ministero. Per questo il pubblico ministero, quando ritiene che non si debba procedere, è tenuto a chiedere al giudice l’archiviazione. Ovviamente il giudice può accogliere questa richiesta, ma può anche non condividerla; e in tale caso ordina al pm di svolgere ulteriori atti di indagine oppure di elevare l’imputazione.

Si fa quindi fatica a comprendere per quale ragione si siano levate proteste governative per la recente “vicenda Delmastro”, in cui il giudice per le indagini preliminari non ha accolto la richiesta di archiviazione nei confronti del viceministro della Giustizia e ordinato al pm l’elevazione dell’imputazione.

Si è anche detto che tale evenienza è rara (il che dimostra se mai che i giudici sono cauti nel disattendere le richieste di archiviazione) e che la decisione sarebbe errata. L’obbligo di elevare l’imputazione però non è una condanna, ma solo l’inizio del procedimento, nel corso del quale l’imputato è presunto innocente fino a sentenza di condanna.

Insomma, ciò che è avvenuto è fisiologico in un sistema di controlli e bilanciamenti fra funzioni inquirenti e giudicanti nell’ambito dei “principi basilari del sistema costituzionale”.

Peraltro è curioso che si accusino i giudici di appiattirsi sulle richieste del pubblico ministero, chiedendo per questo la separazione delle carriere, salvo poi protestare quando un giudice invece non accolga una richiesta, svolgendo il suo dovere di controllo.

Sembra di capire che quello che non piace è che la magistratura svolga il suo dovere di controllo della legalità anche nei confronti dei potenti e questo in palese spregio del “principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge (in particolare, alla legge penale)”.

Sarà faticoso e talvolta sgradevole, ma è lo Stato di diritto o, come dicono gli anglosassoni, rule of law, il governo della legge. Forse è proprio questo che non piace: l’idea che tutti siano soggetti alla legge. Però è l’idea fondante della civiltà occidentale, garantita dalle Costituzioni e dai trattati internazionali.