(di Michele Serra – repubblica.it) – Procede a ritmo serrato l’avvicendamento del personale culturale italiano di ogni ordine e grado: direttori artistici di Festival, conduttori televisivi, presidenti di fondazioni pubbliche, direttori di telegiornale, responsabili di musei e palinsesti, coordinatori di questo e di quello. Di questo passo, presto verranno sostituti anche i gestori di minigolf e le animatrici sulle navi da crociera — sempre per via dell’esigenza di “cambiare la narrazione”, parola che sta diventando insopportabile.

Ogni giorno cade una capoccia e se ne erige una nuova. La lettura facile (non per questo sbagliata) è che sia in atto un repulisti politico senza precedenti: via tutti quelli “de sinistra”, dentro tutti quelli “de destra”. Il rischio (grave) è ficcare dentro questo schemino anche le persone indipendenti, che sono tante, e poverette non meritano questo increscioso imbrancamento: né se sono in uscita, né se sono in entrata. Esempio: del silurato si dirà “era un comunista” anche se è un genio del suo campo, del subentrato si dirà “era un parà della Folgore” anche se ha poi preso tre lauree, dopo la Folgore.

Ci vanno di mezzo quelli che devono tutto al loro lavoro e nulla alle loro idee politiche, e adesso si ritrovano invischiati in questo sozzo minuetto, che non li riguarda ma li lorda: perché chi volete abbia il tempo e la voglia di valutare il merito, e la persona, se quella che conta è solo la casacca?

Un caso clamoroso è quello dei pacchi. La cacciata di Flavio Insinna per fare posto a Pino Insegno non è certo leggibile “politicamente”. È una inspiegabile porcheria ai danni di un professionista impeccabile per fare posto a un simpatico amicone dei nuovi capi. La politica non c’entra nulla. C’entra quello che a Roma si chiama pappa e ciccia.