Alexander gestisce un bed&breakfast in Val Fontanabuona, dove sta sperimentando un modo per far convivere il turismo sostenibile e l’agricoltura biodinamica

(di GIULIA ARNALDI – corriere.it) – Chi si immaginava che un vino ispirato al Prosecco — prodotto Doc della Valdobbiadene, vanto di Veneto e Friuli Venezia Giulia — si potesse fare anche con i kiwi? Anzi, con qualsiasi tipo di frutta. Non serve nemmeno l’uva, bastano lo zucchero e i batteri per la fermentazione alcolica. Almeno questo è quello che dice Alexander Kundat, origini tedesche ma residente da molti anni in Val Fontanabuona, dove gestisce un bed&breakfast (Villa Maia di Ognio, in provincia di Genova) insieme ai genitori. Il Prosecco di kiwi rientra nell’idea di sostenibilità e recupero del territorio su cui è impostata la loro intera attività, anche se, per ora, non è ancora commercializzato, ma viene prodotto solo per l’autoconsumo. In realtà, qualcuno interessato a commercializzarlo ci sarebbe: Alexander lo ha fatto assaggiare ai titolari di alcune enoteche del territorio, che sono rimasti stupiti dal fatto che non contenesse uva.

Come è nato il prosecco di kiwi

Lo scopo di Alexander, in realtà, è quello di fondere la struttura ricettiva con una vera e propria azienda agroalimentare biologica, basata su un approccio biodinamico all’agricoltura e al territorio e su una gestione del turismo sostenibile.

Attenzione, però: non chiamiamolo Prosecco: infatti, per avere la denominazione, questo vino spumante può essere prodotto solo in alcune zone specifiche del Veneto (per esempio, non nelle provincie di Rovigo e Verona) e del Friuli Venezia Giulia, oppure nelle due zone Docg del Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene e dei Colli Asolani-Prosecco. Inoltre, non solo l’uva è un ingrediente imprescindibile, ma è anche limitata solo ad alcuni vitigni. Glera, Verdisio, Bianchetta trevigiana, Perera, Chardonnay, Glera lunga, Pinot bianco, Pinot grigio e Pinot nero vinificato in bianco.

Il vino di kiwi

Il vino di kiwi, però, non è un’invenzione di Alexander Kundat. Per quanto non sia molto diffuso, questo prodotto in realtà è nato in India. Sebbene sia difficile risalire alle origini della bevanda, pare che la sua comparsa sia collegata a un’idea di sostenibilità e riduzione degli sprechi. Il vino di kiwi, infatti, è diffuso in quelle zone dell’India dove la pianta del kiwi è utilizzata a scopo ornamentale, senza consumare il frutto. Probabilmente, quindi, l’uso del kiwi per produrre una bevanda risponde alla necessità di non buttare il prodotto della pianta. Da lì, è diventata una soluzione utile in altre zone per utilizzare tutti i kiwi troppo maturi o ammaccati, e quindi non adatti alla vendita. Dall’India, questa bevanda è arrivata anche in Europa, che ultimamente è sempre più attenta ai prodotti biologici e a limitare gli sprechi. L’Università degli Studi di Milano ha condotto una ricerca, dimostrando che, tra tutte le bevande alcoliche prodotte con mosto d’uva e frutta fermentata, quella più apprezzata è quella a base di mosto di Cabernet Souvignon e succo di kiwi, in proporzione 60:40. In Francia, invece, la start-up di Lione Vilem ha creato una bevanda alcolica simile al vino bianco, prodotto per l’85 per cento di succo di kiwi fermentato e per il 15 per cento di uva. Il prodotto, realizzato a partire da frutta considerata invendibile, ha aromi freschi e fruttati, che si abbinano bene a piatti di pesce ma anche a pietanze più esotiche, ed è già disponibile sul mercato francese.