
(Stefano Rossi) – Da poco sopita l’inutile polemica sulle Croci poste sulle vette delle montagne mi preme fare questa riflessione.
Tutto parte da una domanda di Michele Serra su “la Repubblica”: “…come accidenti funziona il sistema politico-mediatico italiano?”. La mia risposta si trova alla fine di questo scritto.
Per la verità, la domanda è legittima viste le reazioni di alcuni politici che hanno creduto che si volessero togliere le Croci sulle vette.
Il corto circuito mediatico, alimentato proprio da Michele Serra, parte dalla presentazione del bellissimo libro “Croci di vetta in Appennino” (Ciampi Editore) della storica dell’arte Ines Millesimi che si è tenuta all’Università Cattolica di Milano il 22 giugno scorso alla presenza di numerose personalità, tra cui, mons. Melchor Sánchez de Toca y Alameda, Sottosegretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione in Vaticano.
Già da qui, una persona intelligente dovrebbe farsi un’idea su come sarebbe andata la discussione: luogo cattolico, docenti dell’università cattolica, scrittrice che ha profondamente studiato le radici del perché troviamo le Croci in vetta ad una montagna.
Ma tant’è, Michele Serra non si smentisce mai.
Egli scrive: “…monsignor Sanchez, citando il Papa, dice che usare la croce come simbolo identitario significa banalizzarla. Dunque è meglio non erigere nuove croci sulle vette alpine. È presente il direttore editoriale del Club Alpino, Marco Albino Ferrari, che si dice d’accordo. È proprio il Cai che ha cura delle croci di vetta e si occupa della loro manutenzione perché “rappresentano un elemento culturale delle nostre montagne che va preservato”. Ma è giusto non aggiungerne altre, in sintonia con l’orientamento della Chiesa”.
Ci giunge nuova la notizia che la Chiesa Cattolica, con tutti i problemi che deve affrontare, abbia deciso che non si debbano installare nuove Croci sulle vette.
E se mai fosse vero, in quale sinedrio avrebbe preso questa decisione? In un Concilio? In una Conferenza Episcopale? O forse in un sinodo ad Assisi? O notte tempo, motu proprio, Papa Francesco ha voluto prendere una decisione di cui è informato solo Michele Serra?
Questo signore ignora che il CAI è un’associazione e la sua volontà è deliberata dalle assemblee ufficiali e un socio, fosse anche il presidente generale, non può parlare a voce di tutto il CAI.
Pertanto, egli ha voluto desumere cose non vere, mai accadute, come notizie da dare ai suoi (poveretti) lettori per far passare il messaggio che di Croci sulle vette ne abbiamo abbastanza ed è meglio finirla lì.
Difatti, il Comitato Centrale di Indirizzo e Controllo del CAI ha tenuto a precisare che mai si è occupato di Croci sulle vette e meno che mai sulla loro conservazione o rimozione.
Eppure, da quanto ha scritto, Michele Serra su “la Repubblica” appare tutto il contrario e, cioè, che il CAI sarebbe deciso a non aggiungere più una Croce sulle vette.
Ora, non siamo in possesso di tutto il discorso di mons. Melchor Sánchez de Toca y Alameda che, sempre secondo Michele Serra, avrebbe detto che la Croce, come simbolo religioso su una vetta, verrebbe banalizzato. Io mi taglio una mano ma sono sicuro che non sono le sue parole e, se mai fossero state proferite quel giorno, andrebbero contestualizzate con un discorso più ampio che risulterebbero totalmente diverse dal significato “immaginato” da Michele Serra.
Ho alcune delle sue testuali parole di quel giorno che viaggiano in senso totalmente contrario: “Le nostre croci di vetta sono come il ricordo di una preghiera costante. Non potendolo fare di persona, ci affidiamo al simbolo della croce, un segno spesso povero, nudo, senza alcun valore artistico, come le braccia di Mosè alzate in favore del popolo…”. Il prelato ha ricordato di come Paolo la definiva la Croce “scandalosa” (ma qui si dovrebbe parlare del vero significato di “scandalo”, ma lasciamo perdere, ndr) in seguito divenuto “segno di identità per eccellenza del cristiano” ma anche marchio commerciale per fini diversi dalla religione. Ma questo discorso non ha nulla a spartire con le Croci sulle vette. È una disquisizione che il monsignore si è voluto concedere senza entrare nella questione del libro.
Anzi, se mai vi fossero dubbi, ha ricordato Sandro Pertini.
Ateo, come Michele Serra, ma di gran lunga rispettoso delle opposte opinioni.
Ricordava che non volle mai rimuovere un Crocefisso dallo studio perché simbolo venerato e amato da molti italiani.
E questo monsignore avrebbe detto che non si devono più installare Croci sulle vette?
Prima di rispondere a Serra, volevo ricordare le parole dell’autrice del libro frutto di un dottorato di ricerca dell’Università della Tuscia: “Abbiamo percorso queste vette e verificato che su 261 cime ben 68 sono attraversate dalla presenza di questo simbolo antropico (sono state visionate solo quello oltre i 2000 m. grazie ai soci CAI e del Club 2000 m., ndr). Sono state poste dalle comunità locali. Alcune infatti hanno lo scopo simbolico di proteggere il paese a valle, devono essere monumentali per essere percepite dal basso“. Il libro vuole sollevare una discussione sulle Croci che schiantano al suolo per il vento o il carico di neve e ghiaccio e poi le croci anonime, piazzate da qualcuno per ricordare un evento o, comunque, per una iniziativa privata che potrebbero interferire con il paesaggio e l’ambiente in-contaminato. Poi un’idea che ha lanciato dalle sue pagine: installare dei congegni per lo studio e rilevazione dell’atmosfera ma, aggiungo io, in monte montagne, sia pure non sulle Croci, questa è già una realtà.
Per concludere, 68 Croci su 261 vette oltre i 2000 m. sugli Appennini mi sembra una tempesta in un bicchiere d’acqua. Nessuno, nessuno dei soggetti che ha ricordato Michele Serra ha voluto dire che non devono essere installate nuove Croci (perché tra queste ci sono poi quelle che cadono ogni anno), ma è chiaro che uno come Michele Serra, che gli riconosco l’intelligenza non comune, ha un fine ultimo in tutta questa bagarre artatamente alimentata.
E così rispondo alla sua domanda iniziale.
Michele Serra andava alla trasmissione di Gramellini per pubblicizzare il suo libro “Osso. Anche i cani sognano”, una storia tra un uomo e un cane. Ma si discuteva degli Stati Generali sulla natalità voluta da Papa Francesco e Gramellini lo introduceva, guarda caso, per chiedere che cosa pensasse. E fu così che Michele Serra, sempre guarda caso, disse la sua: “Nei Paesi poveri arrivano immigrati che han bisogno di lavorare e han bisogno di futuro e loro mi sembrano più propensi a fare più figli. In Francia c’è una natalità più sviluppata che da noi perché ci sono più immigrati che da noi…”.
Michele Serra sa bene la differenza politica tra la Francia e l’Italia, sa benissimo che lì ci sono politiche a favore di famiglie e giovani che qui ci possiamo solo sognare ma lui ha voluto dire la sua.
Come per le Croci e le vette. Sa benissimo che il Cai e la Chiesa non hanno mai detto di non voler piantare una nuova Croce in montagna ma per lui è più importante far passare il messaggio che le Croci sono divisive, non di tutti ma di pochi e in questa Italia ne arrivano e ne arriveranno tanti di nuovi abitanti che delle Croci non sanno che farsene e, per taluni, sono pure simboli da abbattere.
Michele Serra è intelligentissimo, vede lungo, parla con declinazione solo del futuro e instilla, come una goccia cinese, le sue idee su come dovrà essere l’Italia futura.
Quindi, come funziona il sistema mediatico e politico qui da noi? Funziona prendendo in giro i telespettatori raccontando che in Francia si fanno più figli non per le politiche sociali migliori ma perché ci sono più stranieri.
Funziona dicendo che il Papa, la Chiesa e il CAI non vogliono più Croci nuove sulle vette.
Povero Serra, possibile che ignori il significato delle croci? Servono a “marcare il territorio” e devono essere presenti dovunque… uffici pubblici, scuole, tribunali e naturalmente sulla cima delle montagne, equivalgono allo “schizzo di urina” di tanti nostri “compagni di strada non umani”. Servono a ricordarci, a livello subliminale, che la “Vaticano s.p.a” controlla ancora tutta l’Italia (con buona pace della breccia di Porta Pia).
Del resto, il motto di Gioggia non è “Dio, Patria & Famiglia”?
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Naturalmente il “dio” che gli ebrei hanno “copiato” dai babilonesi, utilizzato anche dai cristiani e dai musulmani (tutti e tre pretendono di detenere il copyright). La “patria” che termina alle Alpi (anche se in Trentino non sono molto d’accordo) e la “famiglia”, benedetta dalla Chiesa (con l’eccezione delle “sorelle Meloni”, che fanno a meno della benedizione).
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Con tutto quello che c’è di più inportante.
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* importante
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Serra che va da Gramellini. Che brutta immagine
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Gli atei dovrebbero parlare del profano, ma anche i bigotti. Il profano che a detta dei migliori è il vero sacro, occulto, of shore.
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Gesù non si faceva il segno della croce. Sarebbe stata per lui oltre che anacronistica anche una masochista autoafflizzione . la croce come simbolo del cristianesimo prese piede nel terzo secolo dc. Cosa possa oggi significare porre croci sui pizzi e sui colli oltre che segnare,come cani gatti, il proprio territorio mi sfugge. É folclore,tradizione,determinazione di una forma di identità da proclamare e rendere visibile. Niente di spirituale o ascetico.
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In effetti nelle prime comunità cristiane il simbolo adottato era il “pesce” o il “buon pastore” e avrebbero considerato blasfemo abbinare una croce al fondatore della loro setta. Del resto il simbolo stesso della croce è stato modificato nel tempo, inizialmente era una semplice “T” e il pezzo superiore è stato introdotto per attaccare il famoso “cartello”. Comunque se non fosse stato per l’opera di Paolo di Tarso il cristianesimo non si sarebbe certo diffuso. Incidentalmente questo soggetto non faceva neppure riferimento alle parole di Gesù (i vangeli non erano ancora stati scritti e lui non l’aveva conosciuto) ma comunicava “direttamente con Dio” (grazie agli attacchi epilettici dai quali era affetto). Con i “cosiddetti apostoli” non era neppure in buoni rapporti!
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