Quattro giudici da nominare in quindici mesi, la Corte Costituzionale nel mirino della destra

La mani sulla Consulta: Meloni medita lo strappo per fare un ribaltone

(FRANCESCO GRIGNETTI – lastampa.it) – ROMA. Dice un illustre professore costituzionalista che qui non vuol essere citato («Perché tutti penserebbero che mi sto candidando, e così non è»), che sulle prossime nomine alla Corte costituzionale «si parrà la nobilitate di Giorgia Meloni». Già, perché sulla partita della Consulta che si aprirà nel prossimo autunno e terminerà nel gennaio del 2025, sarà messa alla prova la vera natura della premier. Se vorrà rispettare la Costituzione materiale, che ha sempre rispettato la terzietà e l’equilibrio di una istituzione così importante, o se sarà assalto alla diligenza. Un fatto è certo: le nomine alla Consulta sono quelle che in politica pesano più di tutte, perché i quindici supremi giudici delle leggi decidono la vita o la morte delle norme, regolano i conflitti istituzionali, incidono sui diritti e sulla vita quotidiana dei cittadini quanto e più di un governo.

Ebbene, nella Costituzione materiale vige una regola che è stata rispettata quasi sempre nei settantasette anni di vita della Repubblica: dei quindici giudici costituzionali, tolti i cinque di nomina del Quirinale, e i cinque scelti dalle alte magistrature (Cassazione, Corte dei Conti, Consiglio di Stato), i restanti cinque, quelli di nomina parlamentare, sono sempre stati spartiti 3 a 2. Cioè 3 erano quelli scelti dalla maggioranza pro-tempore, e 2 dall’opposizione.

Ebbene, anche se alla Consulta viene l’orticaria quando si ricordano le provenienze politiche dei suoi giudici, perché regna la sublime retorica che appena varcata la soglia del palazzo della Consulta si svestirebbero dei panni originari per vestire quelli del diritto costituzionale, in verità gli addetti ai lavori sanno che le origini contano eccome. E chi conosce le segrete cose, spiega che al momento i cinque giudici scelti dal Parlamento non rispettano affatto la regola aurea della Costituzione materiale perché 4 sono considerati di centro-sinistra e solo 1 è un giurista di centro-destra.

E qui si pone il problema di Giorgia Meloni. Lei avrebbe i numeri per ribaltare le proporzioni e nel giro di quindici mesi potrebbe portare alla Corte costituzionale ben quattro giudici della sua area. Ma lo farà? E soprattutto: le converrebbe?

«Se il processo delle riforme costituzionali andrà avanti – dice un altro di questi professori, pure lui con obbligo di anonimato – le nomine arriveranno in coincidenza con il voto sul premierato di cui si parla tanto. L’Europa intera guarderà a lei. La scelta per i giudici costituzionali, prima ancora che sulle persone, sarà un banco di prova nei rapporti con le opposizioni e con le istituzioni di garanzia».

Il primissimo test verrà in autunno, quando scade il mandato per la giudice Silvana Sciarra, attuale presidente. Scontato che la maggioranza vorrà un suo candidato. Ma potrebbe essere una candidata. Si parla insistentemente di Ida Angela Nicotra, professore ordinario di diritto costituzionale presso l’università di Catania, componente dell’Anac tra il 2014 e il 2020. È sicuramente di area affine a Meloni, come peraltro suo marito, il professore Felice Giuffré, anche lui ordinario a Catania, che qualche mese fa è finito al Consiglio superiore della magistratura in quota FdI. Di lei si parla bene trasversalmente, ma certo non l’aiuterà essere stata nominata proprio ieri dal governo nel cda della società Ponte sullo Stretto. Meno quotati, perché figure più divisive, sarebbero il giovane Francesco Saverio Marini, figlio di Annibale che fu presidente della Corte costituzionale e membro laico del Csm in quota centro-destra, o Emanuele Bilotti, professore di diritto privato nell’Università Europea di Roma, area cattolico-tradizionalista, figura di punta del Centro Studi Livatino (caro al sottosegretario Alfredo Mantovano).

Subito dopo Sciarra, usciranno di scena anche i due vicepresidenti, Daria de Pretis e Nicolò Zanon, che però sono di nomina presidenziale e qui le scelte spettano al Quirinale. L’equilibrio non scritto a quel punto cambierà, con 2 di maggioranza e 3 vicini all’opposizione.

In seguito, a fine 2024, usciranno dalla Corte altri tre membri di nomina parlamentare: Augusto Barbera, Giulio Prosperetti e Franco Modugno. Tutti e tre considerati di area progressista. E Meloni che cosa deciderà? Farà uno strappo alla Costituzione materiale e al galateo istituzionali per accaparrarsi tutti i posti in palio?  La destra cioè metterà le mani su tutti i cinque giudici di nomina parlamentare? Forse ci sarà da temere perché gli equilibri saranno modificati di forza e non si vedranno più sentenze così avanzate come è stato negli ultimi anni.

«Nella scelta dei prossimi giudici – dice il presidente emerito della Corte Giovanni Maria Flick – mi sento di consigliare, dato che la giustizia costituzionale è la più vicina alla politica, non soltanto l’opportunità di personalità dall’adeguata preparazione tecnico-giuridica, ma anche di una capacità di equilibrio ispirata a quella dei Presidenti della Repubblica».

Assisteremo insomma a una battaglia o ad una intesa repubblicana? «Molto – dice ancora il professore anonimo di cui sopra – dipenderà dalle opposizioni, ovviamente. Se sapranno fare fronte comune oppure andranno in ordine sparso, ciascuno cercando di trattare il proprio nome. E allora Meloni stravincerà».