Cara Schlein, difficile levare il “Profumo” di “D’Alema” dal Pd?

(di Fulvio Abbate – mowmag.com) – Elly Schlein è sempre più lontana dalla base? Sicuramente dal suo partito. Il Pd sta affrontando il caso delle indagini di D’Alema e Profumo per la vendita di mezzi alla Colombia da parte di partecipate pubbliche, mentre l’ondata Schelin sembra essersi fermata prima della riva, fuori dalla portata della gente che dovrebbe appoggiarla (e votarla). Vecchio o nuovo il Pd va avanti in caduta libera, tra indagini e assenza di leadership, che inizia a far stranire tutti, a partire dai “compagni” bolognesi…

Una “voce di dentro” del Pd, testualmente, mi confessa: “Fulvio, se adesso qualcuno, lì al Nazareno, decidesse di alzarsi in piedi dicendo: ‘Elly Schlein è una cretina’, in un attimo si prenderebbe il partito”. Aggiunge che non accadrà. A prevalere saranno piuttosto “mutismo e rassegnazione”, mediocre eppure chiara, lucente espressione da fureria o ufficio di casermaggio, che ben descrive lo stato delle cose lì all’interno. In attesa di un nuovo tonfo dopo le “comunali”. Quest’altra volta assordante, definitivo. Alle prossime elezioni europee. Un silenzio dettato ora da pavidità individuale, assenza di estro, ora, forse, da un rodato spirito gregario sia post-comunista sia post-democristiano. O magari da una paralisi o paresi culturale, naturale stasi del pensiero critico. O piuttosto timori personali per le proprie rendite di posizione, l’incubo di un possibile oscuramento delle proprie “carriere”. Una forza, un “fronte”, un rassemblement, o che dir si voglia, democratico, progressista, lì a garanzia dei diritti primari e civili, ammettiamo perfino “di sinistra”, nonostante l’ormai amorfo soggetto dem, che nel tempo dei populismi delle destre plebiscitarie scelga di farsi rappresentare nella percezione comune dal volto e dal lessico di Elly Schlein e, a latere, da Michela Murgia e relativo edificante coro letterario persistentemente amichettista, si consegna all’irrilevanza e ancor di più allo scherno plebeo diffuso, carnivoro, e tuttavia diffuso. Soprattutto quando è il flusso dei social a determinare la sostanza politica della propria agenda, della “comunicazione”.

 Elly Schlein

Assente ogni percezione di un progetto di mutamento della società. Ammesso che Schlein abbia in programma di riconquistare l’elettorato storicamente di sinistra, le realtà operaie delle città, “l’umile Italia”, così come la chiamava Pasolini, e non garantirsi, su tutto, per ragioni di gusto, il conforto delle “anime belle” dell’attico, della terrazza ritenuta progressista, per incapacità, se non indifferenza, verso il diverso, l’altro da sé, dal proprio pedigree “borghese” affluente. Leggo le parole di un autorevole, rassegnato, esponente del suo stesso partito, Graziano Delrio, in proposito: “Ma se vuole chiederci consigli, noi siamo qui”. Gli fanno seguito le considerazioni piccate del sindaco di Firenze, Dario Nardella: “Anche perché non può decidere tutto nel chiuso di una stanza”. Fabrizio Roncone, firma assai poco antipatizzante verso le ragioni della sinistra, sul “Corriere della Sera”, immaginando la “stanza” della segretaria Schlein, dati alla mano, si interroga: “Quale? Nella sede del Nazareno, si vede poco (non ha ancora arredato il suo ufficio, al terzo piano). A Montecitorio, si vede pure meno (dato al 30 aprile scorso: presente a 567 votazioni elettroniche su 1.551, media del 36%). I militanti dem bolognesi sono furibondi: ‘È irreperibile’”. Proprio adesso, quando ci sarebbe bisogno di parole, di confronti, anche per capire come gestire la vicenda di Alessandro Profumo e Massimo D’Alema, indagati insieme ad altri sei per la vendita alla Colombia di aerei M346, corvette e sommergibili prodotti da partecipate pubbliche, come Leonardo e Fincantieri. Sarà difficile iniziare una nuova storia se non si chiude questa. Il “Profumo” di D’Alema resta addosso…

Massimo D'Alema e Alessandro Profumo

Resta da immaginare, magari come farebbe un semiologo come Roland Barthes, la sostanza politica, l’arredo della “stanza” di Elly Schlein. Quali finestre, quale il suo perimetro perfino visivo, se davvero in lei esista empatia stessa verso l’altrove sociale. Escludendo i luoghi comuni proprio del sentire qualunquista diffuso della destra nei confronti della segretaria Pd, così come si manifestano nei social in modo efficace – l’intervista a “Vogue” con il risibile paradosso della citazione sull’armocromismo – si è comunque costretti a rilevare un lessico da Erasmus, da “prima” al Nuovo Sacher, da impenetrabile e soffocante falansterio queer. Complicità adolescenziale. Un paesaggio espressivo che restituisce una dimensione subculturale, e perfino umana, parziale, estranea alla complessità umanistica, feticci da ceto medio riflessivo e garantito, nessuna necessaria parola per chi dovesse trovarsi lontano ed estraneo dal loro mondo protetto, di esclusivo riferimento socio-antropologico, un qualcosa che trascina con sé l’eco dei trascorsi “girotondi per la democrazia”, delle “sardine”; forse addirittura in prospettiva dei lemuri e delle nutrie. Opzioni di stile e gusto in luogo di un autentico pronunciamento politico che sappia mostrare la sintesi di un manifesto di intenti necessario alla sinistra. Uno spettacolo di rara modestia che costringe a rimpiangere l’assennato eloquio da assessorato provinciale all’annona emiliana post-comunista di Pierluigi Bersani. Nei giorni scorsi, trovandomi a partecipare a un incontro con alcuni ragazzi e ragazze che frequentano i corsi serali di un istituto professionale, avevo con me una sola domanda: possiede Elly Schlein parole anche, se non soprattutto, per loro? Confidiamo nelle dimissioni prima del tonfo definitivo.