(Pietrangelo Buttafuoco) – Il male esiste. L’uccisione di una giovane donna e del bimbo nel suo grembo per mano dell’uomo che ne proclamava l’amore conferma l’esistenza del male. Nell’essere altresì, l’assassino, il padre del nascituro, accresce l’abiezione in ragione di un sotto testo. E cioè che la seconda vittima – un feto di sette mesi – è raccontata tra i lacerti dei danni collaterali. L’omicidio di questa donna turba tutti noi, dunque, in ragione di una sfacciata rivelazione: che il male esiste e non c’è alcuna sociologia che possa aiutarci a capire, e figurarsi l’ideologia dei tanti che stanano nel patriarcato il colpevole numero Uno. Anche l’alunno che accoltella la propria professoressa s’abbevera allo stesso male e non è a colpi d’arcobaleno che gli uomini smettono di uccidere, e quando l’assassino – dopo la confessione – si guarda allo specchio per meglio mettersi il berretto in testa è ben chiaro qual è il motore del male: è l’IO. Tutto un IO-IO-IO dal quale discende il paradigma obbligato: ridisegnare l’esistenza in rapporto a quell’IO, il generatore di quei desideri che il senso comune considera già diritti. Il male esiste e se la ragazza – la vittima – potrebbe essere la figlia di tanti tra noi, quell’assassino, così comune, nel senso proprio dello spirito del tempo, potrebbe essere il figlio di tutti noi.